domenica 25 febbraio 2018

Ethan Frome...

... di Edith Wharton.


La scheda del libro sul sito della BUR - Rizzoli

Avevo sentito la storia, a frammenti, da varie persone, e, come spesso accade in casi simili, ogni volta era una storia diversa. Se conoscete Starkfield, Massachusetts, conoscete anche l'ufficio postale. Se conoscete l'ufficio postale, dovete aver visto Ethan Frome fermarvisi dinnanzi col suo calesse, gettare le redini sulla groppa incavata del suo cavallo baio, e trascinarsi fino al bianco colonnato, attraversando il marciapiede di mattoni; e dovete aver chiesto chi fosse. Fu qui, molti anni fa, che lo vidi per la prima volta: e il suo aspetto mi colpì.

Ethan Frome è un piccolo possidente che vive a Starkfield, nel  New England, dove gli inverni sono lunghi e freddi, e la vita monotona e dura. Sposato con una donna perennemente malata e concentrata su se stessa, riscopre le emozioni che la vita può regalare attraverso la giovane Mattie, cugina di sua moglie Zeena. Ma l'amore da solo non basta a cambiare il destino, e quello di Ethan sembra segnato...
 
Ethan Frome è essenzialmente il racconto di un triangolo amoroso.
Ambientato durante uno degli interminabili inverni nella piccola cittadina di Starkfield e narrato in prima persona come un lungo flashback da un narratore estraneo ai fatti, il romanzo ci racconta le vicende di Ethan in un momento ben preciso: quello in cui si rende conto di essersi innamorato della cugina di sua moglie, Mattie Silver, che vive in casa loro e che è giovane, interessata alla vita, entusiasta, curiosa. Di contro Zeena è chiusa, cupa, acida, perennemente malata e dedita a discutere dei suoi sintomi, veri o presunti. Un atteggiamento che, unito alla durezza della vita che la coppia conduce e all'asprezza del clima, ha fatto chiudere Ethan completamente in se stesso. L'uomo sembra convinto che la vita non possa oramai riservargli niente di buono, ed è rassegnato a vivere di rimpianti. Fino che non giunge Mattie a dare una spallata alla triste routine di Ethan.

Quest'ultimo è il perno della narrazione, e il personaggio più interessante. Nonostante nelle primissime righe del romanzo sia descritto come un rudere d'uomo, emana comunque da lui una sensazione di forza e di solidità.

L'ambiente in cui si muove è estremamente povero e scarno. Nei brevi giorni in cui si svolgono le vicende raccontate nel flashback, il gelo e la neve la fanno da padrone, e rendono l'isolamento di chi vive in campagna ancora più marcato. Questa solitudine fisica, per così dire, è accompagnata allo stesso tempo da una solitudine spirituale. Ethan e sua moglie sono distanti, e vivono isolati pur essendo uniti in matrimonio. Quando Mattie compare sulla scena le cose cambiano e perfino il duro panorama invernale sembra cambiare davanti agli occhi dei protagonisti. Quando Ethan e Mattie sono insieme, infatti, l'autrice non ci descrive semplicemente il freddo (onnipresente nel romanzo), la desolazione e il deserto gelato; ci descrive invece lo scintillio dei raggi di luna sul ghiaccio, il bianco immacolato della coltre di neve appena formatasi, il silenzio incantato dei boschi in inverno. Insomma, sembra che l'amore riesca a infondere bellezza anche alla durezza della vita contadina.
 
È incredibile come, a distanza di oltre cento anni dalla sua prima pubblicazione, Ethan Frome riesca a parlarci con tanta semplicità ed efficacia dell'amore. Si tratta di un amore puro, intenso eppure delicato, che si nutre di sguardi e di piccoli gesti, ma è capace di riscattare un'intera vita di amarezza e privazioni. È quel tipo di amore che nobilita ed eleva lo spirito. Ma c'è nel romanzo un che della tragedia greca; il destino, il fato ineluttabile, è in agguato.
 
I personaggi, in particolare Ethan e Mattie, sembrano saperlo. Sembrano intuire che la felicità è appena oltre la loro portata, e non potranno mai raggiungerla. Eppure la vedono, la assaporano, ma non potranno mai afferrarla. E questo da al romanzo un'aura di struggente tristezza, fino ad un epilogo che rimescola tutte le carte in tavola, e in cui il destino sembra farsi beffe di tutti.

Di solito mi avvicino ai classici più per imparare qualcosa sull'evoluzione della letteratura che per il puro e semplice piacere di leggere una storia. Ma in questo caso devo dire che Edith Wharton ha scritto un romanzo di una forza incredibile, che buca le pagine con il suo stile asciutto ed essenziale, che ci racconta una storia d'amore cruda, dolorosa e, secondo me, indimenticabile.

Voto: 8
 

giovedì 15 febbraio 2018

Stardust...

... di Neil Gaiman.


C'era una volta un giovane che desiderava ardentemente soddisfare le proprie brame. E fin qui, per quel che riguarda l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo (poiché ogni storia, passata o futura, che narri di un giovane potrebbe cominciare alla stessa maniera). Ma strano era il giovane e strani i fatti che lo videro protagonista, tanto che egli stesso non seppe mai come andarono veramente le cose.

Tristran Thorn è un giovane garzone che abita nel villaggio di Wall. Per ottenere il cuore e la mano della bella Victoria, le promette di andare a recuperare la stella cadente che hanno visto solcare il cielo durante una serata d'autunno. Per fare ciò, dovrà attraversare il muro che divide Wall dai magici territori di Faerie.
Tristran conosce poco o niente di quella terra incantata; e non sa nemmeno che non è l'unico a cercare quella stella.
 
Stardust è un bel romanzo a metà strada tra un fantasy ed una favola classica, o, per meglio dire, è un fantasy scritto come una fiaba.
Colpisce subito, dopo pochi righi, che, con uno stile leggero, scorrevole e fiabesco, l'autore ci chiarisca l'ambientazione ottocentesca del romanzo.
 
Gli eventi che seguono accaddero molti anni fa, quando sul trono d'Inghilterra regnava la regina Vittoria, non ancora divenuta la nerovestita vedova di Windsor; quando era ancora giovane, con le gote di mela e la primavera nel passo, e Lord Melbourne la rimproverava spesso e bonariamente per la sua volubilità. E sebbene fosse molto innamorata, non si era ancora sposata. Charles Dickens stava pubblicando a puntate il suo romanzo Oliver Twist; Henry Draper aveva appena scattato la prima fotografia della luna, fissandone il pallido volto sulla fredda carta; e Samuel Morse aveva da poco annunciato il modo di trasmettere messaggi attraverso fili metallici. Se qualcuno avesse parlato loro di magia o di fate, avrebbero sorriso sdegnosi tutti quanti, a eccezione, forse, di Dickens, che all'epoca era un giovane sbarbatello e avrebbe reagito assumendo un'espressione assorta.
 
La cosa mi ha colpito molto perché conferisce alla storia un sapore particolare, di leggenda e di mito, di realtà che si mescola alla fantasia, e per tutto il romanzo mi sono sentita come se la magia fosse a portata di mano in ogni momento, anche dopo aver chiuso il libro. 
L'atmosfera che l'autore ha saputo creare e mantenere per tutto il romanzo è la parte migliore di quest'opera. Il resto è funzionale alla creazione di questo mondo strano e incantato, con regole incomprensibili per noi, ma ben chiare per gli abitanti di Faerie.
L'elemento dominante di questa storia è la magia, che è comune a Faerie, ma resta qualcosa di pericoloso ed oscuro per gli esseri umani. Non a caso gli abitanti di Wall, che hanno la ventura di abitare una terra di confine, hanno costruito un muro e nessuno può varcarlo se non in occasione del grande mercato che si tiene ogni nove anni.
Sarà dunque proprio il muro tanto familiare il primo ostacolo che il protagonista dovrà superare. 
 
I personaggi sono modellati sugli archetipi dei personaggi delle fiabe popolari.
Tristran è, come detto, il protagonista e l'eroe della storia, che si allontana da casa per guadagnare la sua ricompensa. È un giovanotto romantico ed idealista.  Intraprende il suo viaggio dopo una promessa fatta d'impulso, che però non ha nessuna intenzione di infrangere; parte sprovvisto di qualunque conoscenza necessaria a sopravvivere a Faerie, ma imparerà strada facendo, insieme al lettore. Non perderà però la sua ingenuità e la sua integrità, anche quando sarà messo di fronte a scelte difficili.
Sulla sua strada troverà altri personaggi tipici delle favole: l'antagonista, l'aiutante, il premio.
 
Anche lo schema della trama è esattamente quello delle fiabe, così come codificato dall'antropologo russo Vladimir Propp: 
 
1. Equilibrio iniziale (esordio);
2. Rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione);
3. Peripezie dell'eroe;
4. Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione); [1]
 
Ho letto alcuni commenti negativi a questo romanzo basati sul fatto che i personaggi non evolvono, sono piatti e bidimensionali, che la trama sia eccessivamente lineare, eccetera. Trovo queste critiche alquanto ingiustificate; il libro può non piacere, ovviamente, ma è importante rendersi conto di cosa si sta leggendo. Nello specifico, si tratta di una fiaba, e i personaggi si comportano esattamente come quelli delle fiabe e la trama ha l'andamento tipico di quel genere letterario. Lamentarsene non ha senso: è come se leggessi un romance e mi lamentassi per la mancanza di suspense.
Metto in evidenza il punto perché credo che una recensione per essere completa e utile ad altri lettori debba far comprendere di che tipo di libro si sta parlando, in modo che il lettore possa trarre da sé alcune conclusioni. Se amo i fantasy ma odio lo stile un po' naïve delle fiabe, è ovvio che questo libro non è per me. Se si sta cercando un fantasy eroico, questo non è il libro giusto. Basta dirlo, insomma
.
Al di là di questi appunti, ho trovato questo romanzo straordinariamente ben fatto. È ironico, è romantico, magico, affascinante e strizza l'occhio al bambino che è in noi. Riesce a parlare di amore, di lealtà, di diversità e di sacrificio senza perdere quel senso di magico e meraviglioso che pervade tutta la storia.
Questo romanzo è  del 1999, ma la particolarità delle opere letterarie di valore è di riuscire a parlare ai lettori anche a distanza di anni. Insomma, i buoni libri non invecchiano, ed è questo il caso di Stardust.  
 
Voto: 8
 
Fonte: Wikipedia, Lo schema di Propp

mercoledì 7 febbraio 2018

L'assassinio di Florence Nightingale Shore. I delitti Mitford # 1...

... di Jessica Fellowes.


Con questa recensione inauguro la partecipazione ad una simpatica iniziativa nata dalle menti infaticabili di due blogger, Chiara e Laura. Ogni mese un gruppo di blogger sceglierà un tema e leggerà e recensirà un libro adatto.
Il tema di questo mese è un libro che mi hanno regalato a Natale. Tema spinoso per ogni lettore, per varie ragioni. Intanto, non è facilissimo far capire a chi ci sta intorno che non ci importa niente se ci avete regalato libri a Pasqua, Natale, Epifania, compleanni e anniversari. Continuate pure! E anche se non sapete esattamente quale libro possa mancare alla nostra biblioteca, ricordate che sia le librerie online, sia quelle fisiche accettano i resi. Cambiare il libro con un altro è un attimo, ma la nostra riconoscenza sarà duratura.
 

Ora, veniamo al libro che ho scelto. Dopo aver seminato indizi neanche tanto velati per tutto il mese di dicembre, mio marito e mio figlio mi hanno regalato l'agognato L'assassinio di Florence Nightingale Shore.
 
 
Il 12 gennaio 1920, la stimata infermiera Florence Nightingale Shore sale su un treno in partenza da Victoria Station, a Londra, per andare a trovare un'amica. Da quel treno scenderà in fin di vita. Qualcuno l'ha aggredita ferendola gravemente. Morirà in ospedale senza aver ripreso conoscenza.
Su quello stesso treno, la diciottenne Louisa Cannon cerca di sfuggire allo zio che vuole usarla come merce di scambio per saldare i propri debiti. Louisa riesce a fuggire e troverà lavoro come bambinaia della celebre famiglia Mitford. Qui stringerà un forte legame con Nancy, la maggiore delle sorelle Mitford, ed entrambe cominceranno ad indagare su un omicidio che sembra destinato a rimanere senza colpevole.

Questo libro è molto interessante, e definirlo un giallo sarebbe riduttivo, ma non perché consideri il giallo letteratura di serie b (tutt'altro!). Semplicemente, la definizione di mistery non descrive compiutamente questo libro.
 
Siamo in Inghilterra, all'indomani della fine  della Prima Guerra Mondiale; gli effetti sono ancora ben visibili e la società non si è ancora adeguata ai cambiamenti seguiti al lungo conflitto, ma si avverte una certa turbolenza nella rigida società inglese, specie fra i più giovani. La nobiltà e la ricchezza non vanno più a braccetto, ma le famiglie aristocratiche hanno ancora un certo prestigio e un certo fascino. In questo contesto facciamo la conoscenza della famiglia Mitford: Lord e Lady Redesdale e i loro sette figli (un maschio e sei femmine).
 
A farla da padrone per quasi due terzi del romanzo è la descrizione della vita della famiglia e di Louisa, aiuto bambinaia. La cosa che mi ha divertito è stata che, essendo Louisa diventata il braccio destro della tata di casa Mitford quasi per caso, non ha alcuna esperienza né preparazione adatta a svolgere quel compito. Il suo approccio perciò non è esattamente convenzionale.
Sbirciare all'interno di Asthall Manor in un'epoca così turbolenta è stato interessante. L'autrice è riuscita a farci vivere tra quelle mura senza perdere di vista il filo conduttore: chi ha ucciso Florence Nightingale Shore?
A occuparsi di un caso che la polizia ha chiuso quasi immediatamente sono tre improbabili investigatori: Louisa, Nancy e Guy Sullivan, timido poliziotto ferroviario, magro, allampanato e tremendamente miope. Sono, per ragioni diverse, tre outsider. Nancy ha un ingegno vivace ma trascurato dai genitori, emotivamente distanti. A sedici anni è ancora relegata nella nursery e smania per uscirne. Louisa è in fuga e sa che ogni passo falso potrebbe costarle il posto di lavoro; Guy aspira a qualcosa di meglio che pattugliare binari e indicare orari ai viaggiatori, ma, complice la sua insicurezza, nessuno lo prende sul serio, a cominciare dalla sua famiglia.
Eppure con tenacia riusciranno a ricomporre i pezzi del puzzle, anche se ci metteranno quasi due anni.
 
Nelle ultime 120 pagine circa, la trama gialla del romanzo prende in sopravvento sugli altri elementi: si intreccia con nuovi enigmi fino a portarci ad un bel colpo di scena e alla soluzione di ben due misteri, entrambi piuttosto affascinanti.
Non si può certo parlare di un ritmo serrato, ma l'autrice possiede una abilità sufficiente perché la storia non perda mai di mordente neanche nei momenti in cui l'indagine sembra finita in un vicolo cieco.
 
Insomma, concludendo, mi sento di consigliare questo libro a tutti gli amanti del giallo classico, quello di Agatha Christie e P. D. James, nonché agli amanti della lettura inglese in generale. So che il richiamo alla fortunata serie televisiva Downton Abbey è abusato riguardo a questo libro (vuoi perché il periodo e l'ambientazione sono quasi gli stessi, vuoi perché l'autrice è nipote dello sceneggiatore della serie e ha scritto diversi libri in materia), ma è comunque calzante.
 
Voto: 7
 
Vi lascio il calendario dell'iniziativa Questa volta leggo... Non siete curiosi di sapere cosa hanno trovato le nostre blogger sotto l'albero di Natale?
 

martedì 6 febbraio 2018

Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop...

... di Fannie Flagg.

La scheda del libro sul sito della BUR Rizzoli

Evelyn, donna infelice e insicura, incontra in un ospizio Virginia, detta Ninny , una vecchia e simpatica signora sola. Le due legano e Virginia le racconta storie affascinanti di molti anni prima. Nel periodo della depressione, in Alabama, due amiche, Ruth e Idgie, avevano aperto un caffè frequentato da persone di tutti i tipi. Le due si trovano anche, loro malgrado, coinvolte in un omicidio. Le loro vicende appassionano Evelyn e la aiuteranno a ritrovare la fiducia in se stessa e la forza per cambiare la sua vita.
 
Pomodori verdi fritti è, allo stesso tempo, il libro di esordio e il capolavoro di Fannie Flagg.
 
La storia è raccontata su due piani temporali.
 Da un lato ci sono le vicende di Evelyn, donna vicina alla mezza età, sconfortata e senza più aspettative per il futuro; dall'altro ci sono le vicende di Ruth e Idgie, giovani donne vissute in Alabama durante la Grande Depressione.
A unire le loro storie c'è Virginia, eccentrica vecchietta, il prototipo di tanti personaggi che popoleranno i romanzi di Flagg in futuro. Virginia è una persona originale, saggia, appena un po' svampita. Evelyn riesce a vedere in lei qualcosa che va oltre l'apparenza di donna anziana e sola; del resto, è la stessa cosa che Virginia fa con lei, ed è questo che lega le due donne.
I dettagli che non emergono dalle storie di Virginia sono raccontati brillantemente dal Bollettino Settimanale di Whistle Stop della signora Weems, riportato integralmente.
 
Il caffè che da il titolo al romanzo, situato vicino alla stazione di Whistle Stop è l'ombelico del piccolo mondo in cui il romanzo è ambientato.
Le vicende che si svolgono durante la Depressione sono il cuore pulsante del romanzo, e hanno il sapore agrodolce di un periodo in cui le cose erano più semplici e i rapporti più veri, ma allo stesso tempo le ingiustizie e la povertà erano praticamente istituzionalizzate. Nel raccontare il buono di questa epoca, Fannie Flagg non dimentica mai di mostrarci anche il lato più oscuro, fatto di pregiudizi, segregazione razziale, violenze e impossibilità per le donne di emanciparsi. L'autrice riesce a narrare con un ritmo tranquillo entrambe le facce della stessa medaglia, usando quel tocco di ironia e di leggerezza quasi fiabesca che sono la sua cifra stilistica.
 
A volte mi domando che cosa la gente usi al posto del cervello. Pensa a quei ragazzi: hanno paura di sedersi a mangiare vicino a un ne*ro, ma divorano le uova che escono dal culo delle galline.

I personaggi del romanzo sono molti, come è nello stile della Flagg, e ognuno ha una personalità ben definita e fuori dall'ordinario. Non manca neanche un odioso antagonista che perseguita le protagoniste, Ruth e Idgie.
Il personaggio di Idgie colpisce per la vitalità e la forza con cui affronta i drammi peggiori. Prende la vita di petto e non si arrende mai.
Anche Ruth, all'apparenza più remissiva e votata ad una vita più convenzionale, possiede una forza che sorprenderà il lettore.
 
Questo romanzo è difficile da raccontare, perché troppo sono le sfumature e le piccole vicende che compongono l'affresco generale. Va letto e gustato. Vi piacerà, perchè non manca di nulla: c'è una storia d'amore, profonda e non banale; c'è un mistero (la parte più divertente del romanzo); ci sono la vita, la morte, il dolore, la solitudine, la speranza e l'ottimismo. C'è la Storia sullo sfondo con le sue brutture, e c'è la ribellione alle convenzioni sociali.
 
Voto: 8

Nota finale: Se avete visto il film e letto il libro, avrete notato che alcuni temi sono quasi scomparsi dalla versione cinematografica. Per questo il libro possiede una forza che il pur splendido film di Jon Avnet non ha.

lunedì 5 febbraio 2018

Agatha Raisin e il ballo mortale...

... di M. C. Beaton.


La scheda del libro sul sito della Astoria

[...] la signora Bloxby aprì la porta e la faccia gentile si illuminò con un sorriso di benvenuto.
"Agatha! Che bello vederti. Accomodati. Come mai sei rientrata in anticipo?"
"Mi hanno rapinata," disse Agatha. Raccontò la disavventura.
"In ogni caso mi ha dato la spinta di cui avevo bisogno per aprire la mia agenzia. Tu pensi che sia una buona idea, vero?"
"Oh, sì,"concordò la signora Bloxby. Era convinta che il lavoro dell’agenzia investigativa sarebbe stato squallido e noioso, però almeno avrebbe tenuto impegnata la mente irrequieta dell’amica, impedendole di innamorarsi per l’ennesima volta, restando ferita. Agatha era una drogata dell’innamoramento.

Durante una breve e solitaria vacanza a Parigi, Agatha viene derubata, ma quel che è peggio, viene praticamente ignorata dalla polizia francese. Tornata a casa, per rispondere a quell'affronto, decide d'impulso di aprire un'agenzia investigativa. I casi che le vengono proposti inizialmente sono di poco conto, fino a che una ricca signora chiede il suo aiuto per indagare sulle minacce di morte giunte a sua figlia. A prima vista le minacce non sembrano serie, ma quando il padre del fidanzato della ragazza viene ucciso, Agatha capisce di avere tra le mani un caso piuttosto importante.
Ed eccoci giunti alla quindicesima indagine di Agatha Raisin (cliccate qui se volete dare un'occhiate alle recensioni dei volumi precedenti), 50enne ex PR londinese ritiratasi nella pace di un villaggio nei Cotswolds. Agatha, tanto capace e intuitiva nel suo lavoro di pubbliche relazione, è totalmente ignorante in materia di rapporti umani. Per questo cerca di barcamenarsi fra flirt e amicizie con la grazie di un elefante in una cristalleria, solitamente fraintendo intenzioni e motivazioni di tutte quelli che le stanno intorno.
Lo stesso sistema Agatha lo usa per le sue indagini. Con una imperturbabile faccia tosta, ficca il naso, spia, fa domande indiscrete e inopportune. Fin qui, il metodo sembra aver funzionato.
Il caso di cui si occupa stavolta coinvolge una ricca famiglia, la cui giovane erede ha ricevuto minacce di morte a pochi giorni dalla grandiosa festa di fidanzamento che i genitori intendono dare in suo onore.
Agatha parteciperà alla festa e riuscirà, almeno inizialmente, a sembrare un'investigatrice da due soldi e a mettersi in ridicolo... ma ben presto riuscirà a dimostrare che le sue intuizioni erano giuste, e le minacce più fondate di quanto sembrasse inizialmente.  Da qui l'indagine vera e propria prenderà avvio, e Agatha sarà coadiuvata da Emma, signora di mezza età in pensione come lei, che ha preso in affitto il cottage che un tempo era di James, l'ex (indimenticato) marito di Agatha.
Scritto con leggerezza e vivacità, il romanzo ci presenta ancora una volta una Agatha senza alcun talento per la comprensione degli esseri umani; ma ci presenterà anche un lato più sensibile e vulnerabile della nostra eroina, lato che lei sembra preoccuparsi sempre meno di nascondere.
I personaggi sono diversi, e entrano ed escono dall'indagine nella consueta girandola di piste sbagliate, vicoli ciechi e brillanti deduzioni. Questo ci consente di non annoiarci mai nel seguire le indagini di Agatha. Nonostante lo schema di fondo sia sempre lo stesso, questo modo di raccontarci il mistero da risolvere ed il tono sempre brillante e ironico della narrazione impediscono al lettore di annoiarsi e di cadere nella spiacevole sensazione di già letto, già visto. In realtà non facciamo altro che correre su e giù insieme ad Agatha, sperando di imbroccare prima o poi la strada giusta.
Da quanto ho scritto sopra potete ben immaginare che Agatha non à affatto una investigatrice convenzionale, ma è sicuramente una delle figure letterarie più spassose e a cui è più facile affezionarsi.
La soluzione del mistero riserva qualche brivido e qualche sorpresa.
Voto: 7 e 1/2

sabato 3 febbraio 2018

Il matrimonio di mio fratello...

... di Enrico Brizzi.

La scheda del libro sul sito della Mondadori
 
Teo, trentanovenne scapolo, con un buon lavoro e di buona famiglia, si mette sulle tracce di suo fratello maggior Max, reduce da un disastroso divorzio, che è sparito insieme ai suoi due bambini. Mentre guida verso le Dolomiti per andare a cercarlo, Teo ripercorre la sua vita, l'infanzia all'ombra dell'adorato Max, i turbamenti adolescenziali, l'Italia degli anni '70 e '80 e il difficile cammino che ha portato lui e suo fratello a diventare adulti.
 
Questa è la storia di una famiglia tutto sommato normale, raccontata attraverso i ricordi del figlio "di mezzo", Teo, stretto tra la brillante personalità del primogenito, Max, e la tenerezza suscitata dalla piccola di casa, la sorellina Sofia.
Teo, ora trentanovenne, guarda indietro con lucidità e una buona dose di cinismo alla vita che ha vissuto, all'ombra di un fratello che sembrava avere tutte le risposte, che sembrava avere sempre le idee chiare e che sembrava sapere sempre cosa fare.
Invece ora quello lucido, quello razionale è Teo. Suo fratello si è sposato a trent'anni e ha divorziato poco prima dei quaranta, è andato in crisi ed ora è scomparso gettando la famiglia nello sconforto.
Teo, invece, si è sempre tenuto alla larga dai rapporti stabili, e ci racconta con disincanto il matrimonio dei genitori, perfetto all'apparenza ma simile ad una gabbia per entrambi i coniugi. Nel raccontarci la sua storia, demolisce impietosamente il matrimonio e la famiglia come formazione sociale. Ce ne racconta i difetti, le piccole ipocrisie, le meschinità.
Ci racconta di come l'ambiente in cui è cresciuto - un ambiente agiato, sicuro e tutto sommato amorevole - abbia trasformato Max in un ribelle pronto a sfidare continuamente i suoi limiti, e di come abbia trasformato lui, da bambino desideroso di affetto e attenzioni, in un uomo disincantato e cinico. E nel farlo, Teo lentamente demolisce il fratello maggiore e la figura esemplare che aveva rappresentato per lui durante l'infanzia e l'adolescenza. Teo sembra deciso a stroncare senza appello la sua famiglia; l'idea stessa dell'amore esce malconcia dalla sua storia, e il pessimismo la fa da padrone.
 
Era finita per sempre, la favola delle famigliole d’una volta, e alla nostra generazione sarebbe toccato, semmai, inventare una forma diversa di rapporti fra uomini e donne. Chiunque si fosse sposato, avrei voluto gridare come Cassandra ai Troiani, sarebbe andato testardamente incontro a un disastro.
 
Eppure Teo è  pronto a correre in soccorso del fratello, dapprima controvoglia, poi, via via che i monti si avvicinano, con sempre maggior apprensione. E mentre cerca disperatamente Max, temendo il peggio, sente che forse non tutto quello che è stato era un'ipocrita finzione, e che l'amore e l'affetto possono esistere.
 
Perché i fratelli, queste creature che crescono nel palmo della stessa mano, possono continuare a volersi bene anche da grandi, ma viene il giorno in cui ognuno di loro è chiamato dal proprio destino, e lungo quel sentiero deve incamminarsi da solo.
 
La trama, a volte amara, a volte nostalgica e malinconica, scorre veloce e mai banale.
Risulta straordinaria in questo corposo romanzo la leggerezza con cui Brizzi riesce a ripercorrere quarant'anni di storia di questa famiglia borghese, mentre sullo sfondo scorrono le vicende che hanno segnato l'Italia in quegli anni (Mani Pulite, le stragi di Capaci e via  D'Amelio, tanto per citarne un paio).  Ma quello che davvero rende questo romanzo una lettura praticamente obbligata per tutti quelli - come me - nati negli anni '70 è la capacità di Enrico Brizzi di dare voce a questa generazione.  Colpiscono la lucidità, la profondità e l'onestà con cui l'autore è riuscito a sviscerare i turbamenti della nostra generazione, una generazione di persone che pensavano di avere il mondo in mano, come Max, e sono dovute scendere a patti con la realtà, come Teo. Come ben sintetizza un amico di Teo:
 
«Siamo una generazione maledetta» argomentò il laureato in Ingegneria Tommy Serpieri, la chioma lucente di brillantina e la carnagione resa quasi fosforescente dalle lampade. «Niente di quel che ci è stato promesso si è realizzato. E ci troviamo a gestire il confronto impossibile con dei genitori terribili. Hanno cominciato a lavorare in un decennio in cui il prodotto interno lordo è cresciuto del settanta per cento. Loro, da poveri, sono diventati ricchi, e noi, cresciuti più o meno nell’agio, stiamo precipitando nell’abisso.»
 
Ma la rassegnazione non è una opzione contemplata.
 
Il mondo che ci era dato era un altro, storto e pieno di guai, ma questo non significava che non si potesse provare a starci in maniera dignitosa. Eravamo chiamati a vivere da uomini liberi, pronti a giocarsi le proprie possibilità per il meglio, e non da schiavi capaci solo di lamentarsi, e giustificare ogni meschinità col peso rassicurante delle proprie catene. Almeno un po’, bisognava proprio provarci.
 
Scrivere questa recensione mi è risultato assai difficile. C'è troppo di noi in questo libro. E poi, Brizzi, onestamente, ha già detto tutto quello che valeva la pena di dire.
 
Voto: 8.