giovedì 31 agosto 2017

Niente di nuovo sul fronte occidentale...

... di Erich Maria Remarque.

La scheda del libro sul sito Mondadori

Germania, 1914. Paul Bäumer ha diciannove anni quando, spinto dall'entusiasmo e dalla propaganda patriottica, decide di arruolarsi volontario per combattere durante la Prima Guerra Mondiale. Insieme a un gruppo di compagni di scuola, parte per quella che a loro sembra una gloriosa avventura. Ma di glorioso, onorevole e avventuroso la guerra non ha nulla. Paul lo scoprirà lentamente, sulla propria pelle.
 
Per meglio comprendere il romanzo che sto per recensire, è necessario spendere due parole sul suo autore. Remarque si arruolò a diciotto anni, come il protagonista del suo romanzo, e come lui combatté nelle trincee sul fronte francese. Partecipò alla battaglia delle Fiandre. Dieci anni dopo la fine della guerra, per rielaborare quello che forse oggi chiameremmo "un disturbo post traumatico da stress", fatto di continue depressioni e attacchi di panico, scrisse Niente di nuovo sul fronte occidentale. Il romanzo ebbe un grande successo, ma con l'ascesa del nazionalsocialismo, venne considerato un libro disfattista e pericoloso, e addirittura bruciato in piazza nel 1933.
La ragione è semplice: nella sua estrema, disarmante semplicità, il romanzo mostra la brutalità e l'insensatezza della guerra. Per farlo, non ha bisogno di ricorrere chissà a quali artifici retorici, espedienti narrativi o altro; al romanzo basta raccontare la fredda cronaca. E in questo sta la sua grandezza.
 
Questo è uno di quei libri che andrebbero letti almeno una volta nella vita. Siamo abituati a pronunciare parola come la tragedia della guerra o gli orrori della guerra, ma la maggior parte della volte sono frasi di circostanza, perché la verità è che la mia generazione (anni '70 del secolo scorso) non ha la più pallida idea di cosa voglia dire trovarsi in mezzo ad un conflitto (e voglia il cielo che non debba scoprirlo mai).
Questa romanzo riempie queste frasi di contenuti e di realtà.
Con uno stile semplice, lineare, con frasi brevi e asciutte fotografa la guerra di trincea. Snervante, estremamente dispendiosa in termini di vite umane, insensata e incomprensibile per chi la combatte. Ci racconta del sangue, della fame, delle piaghe, dei minuti che non passano mai, dei fischi delle granate, dell'amicizia, della morte, del cameratismo.
 
Paul e i suoi compagni partono per la guerra pieni di orgoglio per la missione che si apprestano a compiere. Oltre alle brutture, alle perdite, al sangue, agli stenti che il conflitto metterà loro davanti, la guerra gli ruberà proprio questo orgoglio, questa speranza di combattere per una giusta causa e per un mondo nuovo e migliore. In parole povere, ci dice lo scrittore, la guerra ruberà loro la speranza nel futuro.
 
[...] non siamo più giovani, non aspiriamo più a prendere il mondo d'assalto. Siamo dei profughi, fuggiamo noi stessi, la nostra vita. Avevamo diciott'anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l'esistenza: ci hanno costretti a spararle contro.
La prima granata ci ha colpiti al cuore; esclusi ormai dall'attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla. Crediamo alla guerra.

Niente di eroico o di consolante vi è nella morte.

Francesco Kemmerich [un commilitone del protagonista, n. d. Lisse]  al bagno pareva piccolo e sottile, come un fanciullo. Ora è lì, disteso; perché poi? Vorrei far sfilare tutto il mondo davanti a questo letto, e dire: “Questi è Franz Kemmerich, diciannove anni e mezzo; non vuol morire. Non lasciatelo morire!”
 
E non c'è gloria nell'uccidere un altro uomo.
 
Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un'altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole.
Ma prima tu eri per me solo un'idea, una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula.

Soltanto ora vedo che sei un uomo come me.
 
Questa è la frase più bella nel romanzo e ne racchiude tutto il senso.
 
Quando un romanzo ha quasi 100 anni e riesce ancora ad avere qualcosa da dire: quando si riferisce ad eventi lontanissimi nel tempo, eppure potrebbe benissimo riferirsi a fatti più recenti, allora vuol dire che è un capolavoro, e che merita di essere letto.

Voto: 10

1 commento:

  1. la verità è che la mia generazione (anni '70 del secolo scorso) non ha la più pallida idea di cosa voglia dire trovarsi in mezzo ad un conflitto (e voglia il cielo che non debba scoprirlo mai)

    Questa frase mi ha fatto venire la pelle d'oca. Speriamo davvero di non doverlo scoprire mai! Vado a farti il lancio...

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