martedì 16 maggio 2017

Il rumore dei tuoi passi...

... di Valentina D'Urbano.

La scheda del libro sul sito della Longanesi


Alfredo e Beatrice abitano in quartiere degradato alla periferia di una grande città. Sono cresciuti insieme, hanno condiviso l'infanzia a tal punto che la gente li chiama "i gemelli". Questa è la storia della loro amicizia, sempre sul punto di trasformarsi in qualcos'altro, un'amicizia dura, a tratti violenta ma comunque impossibile da spezzare.  Purtroppo però, Beatrice e Alfredo hanno due modi diversi di affrontare le tragedie della vita; mentre Beatrice non si lascia piegare dallo squallore che la circonda, Alfredo si rivelerà troppo fragile per lottare.
 
Questo è il libro d'esordio di Valentina D'Urbano, autrice di Acquanera, libro splendido che ho recensito qui, e riesce difficile credere che un'autrice agli inizi abbia scritto una storia così dura, toccante e matura.
 
Il libro si apre con un funerale, ed è quello di Alfredo. Ed è Beatrice a raccontarci la storia, a farci capire come si è arrivati a quel punto. Proprio per questo inizio così duro e triste, tutta la storia è permeata da un alone di tragica ineluttabilità.  Ma la sensazione di destino incombente non riguarda solo Alfredo, ma anche gli altri personaggi, tutti segnati, quasi marchiati a fuoco, dall'ambiente in cui vivono, la Fortezza.
La Fortezza è un quartiere degradato alla periferia di una grande città, dove la gente tira a campare come meglio può, abitando in case popolari mai assegnate (e quindi occupate da chi ne aveva bisogno). Nella Fortezza le strade non sono asfaltate, gli edifici cadono in rovina, non ci sono scuole, non ci sono fermate dei mezzi pubblici, un ufficio postale o un qualunque altro servizio e neanche la polizia si addentra tra quelle strade polverose. E' come una bolla sospesa nel tempo, dove le persone sopravvivono lasciando che il tempo scorra su di loro. Soprattutto i giovani non hanno sogni, non hanno aspirazioni perché non hanno illusioni.
 
Alla Fortezza solo il cambio delle stagioni scandiva il tempo. Non succedeva mai niente di importante. Ogni tanto moriva qualcuno, soprattutto tra i più giovani. Molti non arrivavano a trent’anni. Li ammazzavano le corse d’auto clandestine, gli inseguimenti con la polizia, l’eroina. Ci eravamo abituati.
 
Qui crescono Beatrice e Alfredo, i quali non sono fratelli ma condividono la vita più che se lo fossero. Crescono in questo vuoto ignorato da quelli "di fuori" e diventano inseparabili.
La mamma di Beatrice, il personaggio più toccante, a parer mio, di questo romanzo, ha cominciato ad occuparsi di Alfredo e dei suoi due fratelli quando erano poco più che bambini, orfani di madre ed in balia di un padre violento e alcolizzato. Senza grandi proclami, ha fatto quello che andava fatto, offrendo un rifugio ad Alfredo quando il padre diventava troppo manesco, trattandolo come un figlio, semplicemente perché non poteva fare altro.
Questo non sminuisce, secondo me, la bellezza di questa figura, anzi, la esalta, perché la descrive come una donna che istintivamente sceglie di fare la cosa giusta. Mi sono commossa quando, nel racconto della morte di Alfredo, chi lo soccorre chiede alla madre di Bea, accorsa sul posto, "e lei chi è?", e lei risponde senza esitare: "sono la madre". 
 
Beatrice invece sembra sempre pronta a fare la cosa sbagliata, a provocare, a menar le mani, a non ascoltare nessuno; eppure è l'unica che lotta, che cerca di cambiare, di andare avanti. Cerca di trascinare con sé anche Alfredo, ma la dura realtà che scopriamo attraverso queste pagine è che non puoi salvare chi ha deciso di non essere salvato.
Il rapporto con Alfredo, che definisce tutta la sua vita per i primi vent'anni, non è un rapporto idilliaco, tutt'altro. I due si vogliono bene, forse si amano, ma non riescono a venirsi incontro perché sono diversi. Beatrice affronta la vita di petto; Alfredo aveva già deciso che la vita lo avrebbe sconfitto.
 
Alfredo diceva che ci dovevamo rassegnare e che era meglio accontentarsi, che vivere qui è come entrare in un imbuto, ti risucchia e non ne esci più. Si sbagliava. Io posso vivere anche fuori, io voglio essere qualcun altro, chiunque altro. Mi basta che sia qualcosa di diverso da quello che sono adesso.
Non voglio cucirmi addosso l’odore stantio degli androni bui, non voglio respirare la sporcizia di queste strade, non rimarrò qui a guardare questi palazzi bianchi infilzati dalle antenne abusive, con l’intonaco che si disfa, si sbriciola e cade a pezzi come certe vite.
Non voglio essere il suo pezzo mancante. Non voglio essere soltanto quella che gli è sopravvissuta.
 
Il linguaggio usato dall'autrice è duro, semplice, diretto, infarcito di parolacce che però risultano non volgari, ma perfettamente adeguate al contesto e alla narrazione.
Le vicende narrate sono le tappe della vita e della crescita dei due protagonisti in un ambiente tanto difficile, tra aborti clandestini, violenza, spacciatori, spinelli, povertà. E sono quasi tutte tristi, amare, lasciano come il sapore della polvere in bocca. Un filo di luce e di speranza, praticamente assente per tutto il romanzo, li intravediamo solo alla fine, ed è un colpo al cuore.
 
Questo romanzo è  un pugno allo stomaco ma allo stesso tempo è incredibilmente intenso e incredibilmente bello.
 
Voto: 8

2 commenti:

  1. quanto quanto ho amato questo romanzo. Lissie ne hai catturato l'essenza con la tua recensione brava. l'anno scorso ho letto anche Alfredo. se ti riesce recuperalo perchè merita.

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    1. Sì, credo proprio che lo leggerò! Anche se al solo pensiero già mi commuovo.

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