lunedì 21 marzo 2016

Ragionevoli dubbi...

...di Gianrico Carofiglio.
 
Torna l'avvocato Guerrieri, con un caso all'apparenza disperato.
Un uomo di ritorno con moglie e figlia da una vacanza in Montenegro viene fermato alla dogana, e sulla sua auto vengono trovati 40 chili di cocaina. L'uomo giura di non saperne nulla, ma, per evitare l'arresto della moglie che si trovava con lui, confessa di essere il proprietario della droga. In primo grado viene condannato a sedici anni, grazie anche al (non) intervento di un ambiguo avvocato, materializzatosi praticamente dal nulla, che sembra più impegnato a non farlo parlare che a farlo assolvere.
Guido Guerrieri prende le redini del caso per predisporre l'appello, tra molti dubbi. L'uomo è davvero innocente come dice?
 
Anche stavolta Carofiglio non ci delude. Un Guerrieri più maturo, più triste e disincantato, accetta la difesa di un uomo in cui riconosce un picchiatore fascista che lo tormentava durante l'adolescenza. A complicare le cose appare sulla scena la bellissima moglie italo-giapponese del suo cliente. Immediatamente entrambi sentono una forte attrazione.
Guerrieri è tormentato dai dubbi e dalle tentazioni; entra per brevi istanti nella vita di questa donna e della sua bambina, e in alcune scene molto belle e quasi commuoventi, invidia il detenuto non per la sua avvenente moglie, ma per il calore della famiglia che lo aspetta, fiduciosa a casa.
Come se non bastasse, qualcuno che trama nell'ombra arriva ad offrirgli del denaro, molto denaro, perché lasci il suo cliente al proprio destino.
 
Un flusso incontrollato di pensieri mi attraversò il cervello. Tutto più facile. Soldi per lui, soldi chiaramente per me - quanti soldi hai in quella giacca? quanti soldi possono fare la fortuna di un professionista come me? mi chiesi senza riuscire a bloccare quelle domande oscene -, lui dentro ancora per qualche anno. O qualcuno di più.
 Io fuori.
 Natsu e la bambina fuori, con me.
 Uno che sa come comportarsi. Questa frase mi si materializzò nella testa. Ma adesso non riguardava lo scagnozzo di Macrì. Era la nuova definizione di Guerrieri Guido, avvocato in gamba. Pronto a vendere un cliente per denaro, amore e brandelli di una vita che non era stato capace di costruirsi.
Pronto a rubarsi la vita di un altro.
Durò qualche secondo, credo.
 
Guerrieri ovviamente non cede alla tentazione.  Dilaniato, triste, ma fedele a se stesso.
 
L'aspetto procedurale ed investigativo è ancora una volta magistralmente legato alle vicende extraprocessuali dell'avvocato.
L'intreccio è di quelli che tiene col fiato sospeso mentre seguiamo i lenti ma tenaci progressi di Guerrieri nel collezionare prove e ricostruire la verità.
 
Ogniqualvolta sia possibile costruire una pluralità di storie capaci di inglobare tutti gli indizi in un quadro di coerenza narrativa, bisogna arrendersi al fatto che la prova è dubbia, che non vi è certezza processuale, che bisogna pronunciare la sentenza di assoluzione.
Inutile dire che in questo campo non si tratta di una competizione fra livelli di probabilità delle storie. Per dirla in altri termini: al pubblico ministero non basta proporre una storia più probabile per vincere il processo.
Il pubblico ministero per vincere il processo, per ottenere cioè la condanna, deve proporre l'unica storia accettabile. Cioè l'unica spiegazione accettabile dei fatti di causa. Alla difesa basta proporre una spiegazione possibile.
 
E con intelligenza e bravura professionale, l'avvocato riesce a provare il coinvolgimento di forze malavitose che preferiscono agire nell'ombra, e riesce a proporre la spiegazione possibile che dopo la requisitoria finale diventa, agli occhi dei giudici ed a quelli del lettore, anche la più probabile e l'unica che abbia davvero un senso.
 
Il miglior Carofiglio letto finora.
Voto: 8
 

sabato 19 marzo 2016

Testimone inconsapevole...

...di Gianrico Carofiglio.

Guido Guerreri, avvocato penalista di Bari, alla soglia dei quarant'anni ha più di un motivo per essere in crisi. La moglie l'ha lasciato, senza drammi e senza clamori. La sua carriera procede per inerzia, un po' come la sua vita. L'abbandono della moglie costringe Guerreri a guardarsi dentro, per scoprire che la sua vita è su un binario morto. Cominciano così gli attacchi di panico e le crisi di pianto.
Finchè l'incontro con un giovane senegalese accusato dell'omicidio di un bambino non riaccende quella scintilla che l'avvocato pensava di avere perso per sempre.

Libro d'esordio dell'autore, Testimone inconsapevole è senza dubbio un romanzo molto originale.
Non va definito un giallo, perché la fase investigativa si limita a ciò che può essere necessario e funzionale al processo penale. Siamo infatti di fronte ad un romanzo procedurale puro, genere quasi assente nel panorama libresco italiano prima dell'avvento di Carofiglio e del suo Guerreri.
Il romanzo non mira a raccontarci un'indagine, ma esclusivamente un processo, visto dalla parte dell'imputato e del suo avvocato difensore.
La cosa splendida è che non c'è un briciolo di noia nella narrazione. Se pensate che il diritto, la procedura penale, i tribunali e gli avvocati siano quanto di più noioso al mondo, leggendo Testimone inconsapevole dovrete ricredervi. La ricostruzione delle tesi da sostenere in udienza, gli interrogatori e i controinterrogatori, la raccolta di prove, sono avvincenti quanto un'indagine classica, anzi di più perché hanno il pregio dell'originalità.
A Carofiglio non interessa scovare un colpevole, piuttosto a lui interessa mostrarci un innocente; mostrarcelo e mostrarci come tirarlo fuori dai guai. Questo capovolgimento di punto di vista è innovativo e interessante.
 
Due parole sul protagonista. All'avvocato Guerreri piacerebbe essere un principe del foro. Gli piacerebbe sapere cosa fare in ogni occasione, come comportarsi, come dimostrarsi un vincente.
Ma come il 99% della popolazione mondiale, non è un vincente. E' una persona normale, con le sue debolezze e le sue fragilità.
Quando lo incontriamo all'inizio del romanzo, queste hanno preso il sopravvento su di lui.
Confrontarsi, suo malgrado, con la storia del giovane accusato di un crimine orrendo lo aiuterà a ricostruire se stesso, il suo senso di giustizia e di adeguatezza.
Ma Guerreri resterà ancorato con i piedi per terra, conscio dei suoi difetti e delle sue paure, ma consapevole anche che si possono combattere, o almeno ci si può convivere.
 
Voto 7 e 1/2
(Se Carofiglio e l'avvocato Guerreri vi incuriosiscono qui trovate la recensione di A occhi chiusi, la seconda delle indagini dall'avvocato Guerreri. Troverete un protagonista leggermente diverso, leggermente più maturo e autoironico).

mercoledì 16 marzo 2016

Il potere del numero sei...

...di Pittacus Lore, alias James Frey e Jobie Hughes.
  
masochista
[ma-ṣo-chì-sta]
s.m. e f. (pl. m. -sti, f. -ste)

1 Chi è affetto da masochismo

2 estens. Chi si compiace di soffrire.
 
Se il dizionario contemplasse anche un'illustrazione, ci sarebbe la mia foto mentre leggo Il potere del numero sei. Dopo aver letto  Sono il numero quattro, primo volume della saga chiamata Lorien Legacy, mi sono fatta convincere dal mio strano amore per i libri brutti e ho letto il seguito.
 
Abbiamo lasciato John (protagonista del libro precedente) in fuga con l'amico umano Sam e con Sei, aliena come lui e come lui una dei nove Garde scappati dal pianeta Lorien al momento dell'invasione dei Mogadorian.
Dopo la battaglia contro questi ultimi svoltasi nella scuola di Paradise, Ohio, il Governo crede che John sia un terrorista, quindi il ragazzo è costretto a fuggire dai suoi nemici e a nascondersi dalle autorità.
La trama, in estrema sintesi è questa:
John e compagni si nascondono in un motel. Boom!! Arrivano i Mogadorian e fanno saltare tutto in aria.
John e compagni si nascondono in una casa in mezzo ai boschi. Boom!! Arrivano i Mogadorian e fanno saltare tutto in aria.
John e compagni trovano un nascondiglio segreto dove sono conservate oggetti e documenti del pianeta Lorien. Boom!! Arrivano i Mogadorian e fanno saltare tutto in aria.
John riesce a rivedere Sarah, nonostante i rischi. Boom!! Arrivano i Mogadorian e fanno saltare tutto in aria.
John viene catturato dal FBI e portato in un centro di detenzione per essere interrogato. Boom!! Arrivano i Mogadorian e fanno saltare tutto in aria.
Una flebile scintilla di interesse la suscita l'introduzione del personaggio di Marina, il numero sette, la quale è la seconda voce narrante del romanzo.
Marina è nascosta con la sua cepan (tutrice), Adelina, in un convento di uno sperduto paesino spagnolo fin dall'infanzia. La cosa intrigante è che Adelina ha perso interesse per la loro missione, e racconta a Marina che si tratta solo di favole e inutili bugie.
Marina decide di fuggire dal convento. Boom!! Arrivano i Mogadorian e fanno saltare tutto in aria.
 
 Lo spunto poteva essere interessante: una ragazzina sola con il suo fardello, abbandonata da chi doveva istruirla e prepararla ad un incerto futuro, che deve imparare da sola ad usare i suoi poteri (le cosiddette Eredità), ma lo spunto non viene sviluppato perché boom!! Arrivano i Mogadorian e... Insomma, avete capito.

La trama resta piatta e ripetitiva. I personaggi non sono da meno.
Prendiamo la cepan di Marina.
Poco prima dell'arrivo dei Mogadorian, Adelina, che ha passato gli ultimi 12/13 anni a far finta che Lorien fosse una colossale bugia, si sveglia dal suo torpore senza una reale motivazione, riprende il suo ruolo e convenientemente muore trenta secondi dopo (altrimenti la immaginate la faticaccia di dare un minimo di coerenza al personaggio, e giustificare la sua evoluzione? Non sia mai!).
 
John, il protagonista, è praticamente un cartonato a grandezza reale piazzato in mezzo alla trama. Non ha un carattere. Le sue azioni rispondono esclusivamente a esigenze di trama. Ad esempio, Henri gli ha lasciato una lettera in cui gli da istruzioni per il futuro e gli spiega alcune cose. Secondo voi John la legge subito? Ovviamente no, aspetta giorni e giorni, pagine e pagine insensate e inutili, perché altrimenti dopo che l'avrà letta non avrà più nulla che gli ricordi Henri, e soffrirebbe troppo. Perciò, la legge soltanto quando oramai, al settordicesimo boom!! gli autori non sanno più dove andare a parare.
John si sente in colpa per aver provocato, col suo rifiuto di lasciare Paradise ai primi cenni di pericolo, la morte di Henri, il suo tutore. Bene, nonostante i laceranti sensi di colpa, non matura, non si evolve, non mette in relazione il suo comportamento egoista con quanto è successo. No, perché in realtà noi non abbiamo un personaggio che vive, ama, soffre ed eventualmente sbaglia; noi abbiamo un personaggio che dice di fare tutte queste cose, ma  in realtà non le fa davvero. Se tu, autore, vuoi farmi capire che John è lacerato dai sensi di colpa, non basta mettere in bocca a John la frase "sono distrutto dal senso di colpa". Lui deve agire di conseguenza.
Invece il protagonista non esita ad abbandonare Sei in un combattimento con decine di Mogadorian per andare a trovare Sarah, perché l'ammore è ammore e bla bla bla, ricalcando lo stesso identico comportamento superficiale che ha portato Henri alla morte.
Poche pagine più avanti, quando, nel covo dei Mogadorian Sam gli chiede di liberare i prigionieri umani torturati dagli alieni cattivi, tra cui forse si trova lo stesso padre di Sam, lui risponde che è troppo rischioso e non hanno tempo. Ah beh, coerenza questa sconosciuta.
Non esita ad anteporre l'azione di recupero del suo scrigno (scatola contenente oggetti utili provenienti da Lorien) all'azione di salvataggio di Marina, e lascia tranquillamente che Sei vada da sola in Spagna (dopo che Sei gli ha salvato la vita almeno tre volte).
Durante il recupero, come detto, abbandona gli umani al suo destino, ma pensa che forse Sei potrà escogitare un piano per salvarli. Perché tanto lui che ci sta a fare? Deve essere sempre Sei a togliergli le castagne dal fuoco.
 E per finire, ciliegina sulla torta, abbandona Sam nel covo dei Mogadorian. Giusto perché era il suo migliore amico e aveva lasciato tutto per seguirlo.
 
Se poi è vero che un buon protagonista necessita di un buon antagonista per brillare, qua possiamo chiudere tutto e andare a casa.
I Mogadorian sono pessimi cattivi. Non pensano, non hanno individualità come personaggi, sono un'accozzaglia di "carne da macello" e soprattutto sono tonti. Non riesco a darmi un'altra spiegazione. Questa è una razza di alieni che viaggiano nello spazio, che hanno costruito astronavi e armi ad antimateria, ma poi sulla Terra, per non farsi riconoscere, girano con gli impermeabili neri, i baffoni finti (giuro, è vero) e gli occhiali da sole anche di notte. Annamo bene.
I Garde li individuano da lontano un chilometro. Chiediamoci perché.
Io me li vedo i Mogadorian mentre ridacchiano davanti allo specchio applicandosi un bel paio di mustacchi finti, beandosi della loro superiorità intellettuale, e con in tasca un paio di candelotti di dinamite.
Colgono sempre i nostri eroi (?) di sorpresa ma poi boh, se li lasciano scappare perché non riescono a resistere alla tentazione di fare casino con una bella esplosione (uccidessero mai qualcuno dei loro obiettivi con queste esplosioni, eh).
Trovo fastidioso poi che riescano sempre a piombare sui protagonisti al momento opportuno, ma sempre senza che il lettore abbia uno straccio di indizio su come fanno. Chissà, forse in futuro il mistero ci sarà svelato, ma dopo due libri mi sarei aspettata un indizio, un "ma come avranno fatto a trovarci" buttato lì da qualcuno. Invece no.
La cosa appare evidente specialmente se consideriamo Marina: una decina di anni spesi in convento senza usare i poteri, senza aprire lo scrigno Lorien, senza fare nulla di nulla, e i Mogadorian la trovano, nel momento in cui la trama devo cominciare a correre verso il finale. Come? Boh.

Leggerò il seguito? A dire il vero vorrei, vorrei proprio vedere fin dove ci si può spingere nel rovinare una bella idea di partenza, ma la vita è troppo breve, e là fuori ci sono tanti libri belli.
Voto: 4

 

lunedì 14 marzo 2016

La rivoluzione della luna...

...di Andrea Camilleri.
 
Ci sono piccoli episodi nascosti nelle pieghe della storia, che si rivelano perle di conoscenza.
Se poi a narrarle è Andrea Camilleri, il risultato è assicurato.
 
Il tre settembre 1677, il Vicerè di Sicilia, Angel de Guzmàn, muore durante la seduta del Sacro Regio Consiglio. Uomo onesto e corretto, sfiancato da una lunga e inspiegabile malattia, aveva da tempo perso le redini del Consiglio che presiedeva. I sei Consiglieri ne avevano approfittato per concedere favori, accettare tangenti, amministrare la giustizia non per amor della stessa ma per favorire i ricchi e i potenti a scapito dei più deboli.
Il suo testamento dispone che a succedergli sia la moglie, donna Eleonora di Mora, per metà spagnola e per metà siciliana, donna di straordinaria bellezza ma anche di vivissima intelligenza.
I corrotti consiglieri credono di poter continuare a fare il bello e il cattivo tempo approfittando della giovane età e dell'inesperienza di donna Eleonora, ma ben presto capiranno di avere a che fare con un osso molto duro.
 
Eleonora scopre che il marito ha perso conoscenza durante la seduta del Consiglio, morendo dopo poco, ma che i consiglieri hanno preferito non chiamare un medico per soccorrere il Vicerè, e continuare la seduta per far approvare provvedimenti a loro favorevoli. Pertanto decide di vendicarsi di ognuno di loro.
Come in una partita a scacchi, Eleonora fa la sua mossa, cauta e ben studiata. Quando arriva la mossa della controparte, la donna è già pronta a rispondere.
Nei ventisette giorni in cui resterà in carica, Eleonora riesce a far passare diverse leggi a favore del popolo; a stroncare un traffico di giovani donne destinate alla prostituzione; a porre fine alle ruberie e ai gravi crimini del vescovo Turro Mendoza.
Proprio il vescovo sarà il suo nemico più difficile da sconfiggere, e la loro lotta porterà il re a richiamarla in Spagna. Ma Eleonora lascerà la Sicilia da vincitrice, e il romanzo avrà, come dice lo stesso autore, una conclusione né lieta né amara.

A picca a picca, nello spiazzo davanti al Palazzo, accominzaro ad arrivari a taci maci mindicanti, genti coi vistiti pirtusa pirtusa che cadivano a pezzi, genti struppiata alla quali ammancava un vrazzo o 'na gamma, ciechi, stroppi, malatizzi, sbinturati di nascita, curti di menti... ognuno aviva 'n mano un pezzo di pani che s'era potuto accattari pirchì ora il pani costava picca e loro ci potivano arrivari.
E se l'erano vinuto a mangiari 'n silenzio, per ringrazio, davanti a donna Eleonora.
 
Il romanzo ha un bell'intreccio fatto di episodi che lentamente si agganciano l'uno all'altro per comporre la trama. Come ho avuto modo di notare spesso, i romanzi di Camilleri sono come dei puzzle. Bisogna mettere a posto ogni tessera per poi godere della visione d'insieme. E ogni tessera si incastra sempre perfettamente al proprio posto.
Qualche difficoltà presenta la lettura perché il siciliano è ancora più stretto del solito, e lo spagnolo italianizzato parlato da donna Eleonora richiede anch'esso che ci si faccia l'occhio.
Il romanzo pesca dagli angoli remoti della storia una donna quieta, ma forte e decisa. Un personaggio storico letterario che, oltre a narrarci le sue vicende, sembra indicarci una via. Mi ha ricordato la poesia Se di R. Kipling, in particolare:

Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa;
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio. [...]
Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.[...]
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio
!

Nel nostro caso, un Donna.
Indimenticabile.
Voto: 8

L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome...

...di Alice Basso.
 
Cosa hanno in comune Sherlock Holmes e Silvana (Vani) Sarca, la protagonista del romanzo? Oltre ad un deciso carattere di m****, ovviamente?
La capacità di entrare, ognuno a modo suo, nella testa altrui...
 
Silvana, detta Vani, è una ghostwriter. Una che scrive libri per gli altri, rimanendo nell'ombra. E acui sta benissimo restare nell'ombra. 
 
Questo è il punto in cui solitamente, quando spiego il mio mestiere, la gente dice «wow».
Wow. Certo che non dev’essere per niente facile mettersi nei panni di questo o quel personaggio e adottarne la voce, le competenze, lo stile espressivo. Ci vorrà un sacco di duttilità, di velocità di apprendimento, di capacità di immedesimazione.
Oh, verissimo. Ogni ghostwriter degno di questo nome deve possedere tutte queste cose. Deve uscire da sé stesso, per così dire, entrare nei panni dell’autore di turno, e immaginare non solo cosa scriverebbe, ma anche il modo migliore in cui farlo. E poi, farlo lui. Ogni bravo ghostwriter è un liquido che assume la forma della testa in cui viene versato, uno specchio che ne replica il volto, un mutante che ne assorbe il carattere. E anche una specie di giudice lucido e distaccato che, mentre tutta quest’opera di identificazione ha luogo, riesce a mantenersi imperturbabile e a decidere il modo più efficace di dire le cose che l’autore ha da dire. Un maledetto camaleonte multitasking: ecco che cos’è un ghostwriter degno di questo nome. Suona difficile, vero? Be’, lo è.
Dev’essere la ragione per cui siamo così pochi. Una razza di camaleonti in via di estinzione.

Cinica, un poco asociale, disincantata e ironica, possiede una mente notevole, ma ha anche un caratteraccio (per usare un eufemismo).
[...] io ho anche un gran bel carattere di merda. Lo so io, lo sa Riccardo, lo sanno tutti. Probabilmente, se c’è vita su Marte, lo sanno anche lì: nel bacino di Hellas, il giorno che impareranno a decifrare la scrittura dei marziani, vedranno inciso a chiare lettere: Vani Sarca ha un carattere di merda.
 
Quando viene chiamata a scrivere il libro per una famosa scrittrice che dice di parlare con gli angeli, Vani entra in crisi. Quando la scrittrice scompare, ci si mette di mezzo la polizia, Vani suo malgrado collabora alle indagini. Non perché ne abbia voglia, ma perché non può fare a meno di trarre le sue conclusioni dai piccoli particolari che ha visto parlando con la scrittrice per lavoro; non può fare a meno di dedurre logicamente le conclusioni della vicenda sfruttando ciò che ha imparato mentre studiava la scrittrice, il suo libro e il suo fandom per portare a termine il suo lavoro.
Da qui il paragone con Sherlock Holmes, anche se la ferrea logica di Vani si basa, più che su deduzioni scientifiche, su una profonda conoscenza dell'essere umano, e sulla radicata abitudine ad entrare nelle teste altrui.
A complicare le cose, arriva Riccardo, scrittore di successo che Vani ha aiutato a scrivere il suo secondo capolavoro, e che si innamora di lei, distraendola dalla sua collaudata routine, fatta di libri, lavoro e junk food.
Vani sbroglierà la matassa insieme all'ispettore Berganza, il quale dopo un primo momento di sospetto, capisce le potenzialità di Vani e ne cerca il prezioso consiglio.
Ecco come Vani narra il loro incontro:
 
A dirla tutta, la faccia di quest’uomo è uno spettacolo. Non riesco a fare a meno di studiarla. Non che sia particolarmente bella; è che – non so come esprimerlo meglio – dal momento in cui l’ho vista è come se ogni commissario, detective, investigatore privato di cui abbia mai letto una storia non possa che avere avuto esattamente quella faccia lì. Quest’uomo sembra uscito da un libro, anzi, dalla fusione di mille libri. Non è il volto di un comune essere umano, il suo: è il volto di un prototipo. Mi viene quasi da sorridere. Be’, no, da sorridere no – dopotutto sto subendo un interrogatorio in quanto potenziale accusata di sequestro di persona – ma c’è qualcosa nell’uomo che ho davanti, nel suo viso così letterario, che mi mette inspiegabilmente a mio agio.
D’altro canto, è piuttosto normale che il doppione di Lisbeth Salander si trovi a suo agio con il doppione di Philip Marlowe, giusto?
Se io fossi vestita come mio solito, questa stanza sembrerebbe un ritrovo di cosplayer.
 
E' difficile recensire questo libro, perché ha in se una vitalità e una leggerezza che lo rendo unico, ma che è difficile esprimere con parole che non siano quelle di Vani.
Scritto in prima persona, con uno stile semplice fatto di frasi brevi e (auto)ironia, L'imprevedibile piano è un romanzo fresco, originale, divertente. Un  giallo con dei personaggi ben tracciati, dove Vani (e di conseguenza il lettore) non prende nessuno sul serio, ma riesce a comprendere tutto (e tutti).
La voce di Vani che ci accompagna durante la narrazione è viva e vera. Spesso il lettore si sorprenderà a sorridere alla pungente ironia di Vani, e la lascerà andare di malavoglia alla fine del romanzo.
Da leggere. Anche perché è in arrivo, a maggio, la seconda avventura di Vani, Scrivere è un mestiere pericoloso.
Non fatevi cogliere impreparati!
Voto: 8
 

giovedì 10 marzo 2016

La casa per bambini speciali di Miss Peregrine...

...di Ransom Riggs.

La casa per bambini speciali è il libro d'esordio di Ransom Riggs. Un urban fantasy per un pubblico giovane ma che ha conquistato (e conquisterà) anche chi è... ehm ... diversamente giovane.
Suvvia! Non fatemelo ripetere! Come dice Nick Hornby, evitare i libri per ragazzi solo perché non si è più ragazzi è come sostenere che i gialli andrebbero letti da poliziotti e criminali.
Quindi, archiviata l'obiezione "sì, ma perché leggi libri per ragazzi?", possiamo procedere.

Incipit:
Mi ero appena rassegnato a un’esistenza noiosa, quando iniziarono a succedere cose straordinarie. La prima fu davvero traumatica. E come tutto ciò che ti cambia per sempre, spaccò la mia vita in due metà: il Prima e il Dopo. Anche questo, al pari di molti altri eventi incredibili che sarebbero accaduti in seguito, aveva a che fare con mio nonno, Abraham Portman. Fin da bambino, il nonno era per me la persona più affascinante al mondo. Era cresciuto in un orfanotrofio, aveva combattuto in guerra, aveva attraversato gli oceani in piroscafo e i deserti a cavallo, si era esibito in un circo, sapeva tutto sulle armi da fuoco, l’autodifesa e la sopravvivenza in condizioni estreme. Parlava almeno tre lingue oltre l’inglese. Tutto ciò appariva insondabilmente esotico a un ragazzino mai uscito dalla Florida, e ogni volta che lo vedevo lo scongiuravo di raccontarmi una storia. Lui mi accontentava sempre, dandomi l’illusione che quelle storie fossero segreti riservati esclusivamente a me.
 
Un orfano polacco scappa dalla guerra, e ripara in un orfanotrofio molto speciale su un'isoletta del Galles. Settanta anni dopo, suo nipote deve scoprire da cosa scappava, esattamente, suo nonno. Perché gli unici mostri che lo inseguivano non erano solo quelli con la divisa e la croce uncinata sul braccio.
 
Jacob, di 15 anni, è il nipote di quell'orfano, adora suo nonno e le storie sul suo passato avventuroso e piene di elementi fantastici e soprannaturali. Crescendo le archivia come storie inventate dal nonno per dimenticare l'orrore della fuga dai nazisti e degli anni bui della guerra.
Quando l'uomo muore in circostanze alquanto insolite, Jacob crede di aver visto uno dei mostri che popolavano le storie del nonno, ma non ne è realmente sicuro. Non sa se ha visto davvero quello che crede, o il senso di colpa e il dolore gli offuscano la mente.
 
La storia è narrata in prima persona da Jacob, che è una voce narrante calda, appassionata e convincente. Se proprio devo trovargli un difetto, è che a volte, durante la lettura, ho dovuto ricordare a me stessa che si trattava di un ragazzino di 15 anni che parlava, perché la sua voce e le sue riflessioni appaiono fin troppo mature.
Ma sempre meglio un pizzico di profondità in più che lo stile e il calore di una lista della spesa trovato in altri libri per ragazzi (qualcuno ha menzionato forse Sono il numero quattro ? Si? Bene, perché altrimenti l'avrei fatto io).
Jacob, che, in un accesso di risentimento tipicamente adolescenziale, aveva bollato il nonno come un bugiardo che lo prendeva in giro con storie assurde, si trova in bilico fra la follia e la voglia di credere a suo nonno, fra la depressione e la volontà di capire. Questo precario equilibrio ne fa un personaggio molto reale. L'autore tenta di rendere, naturalmente romanzandolo e rendendolo utile alla trama, la profondità del conflitto che c'è in ogni adolescente. Molti scrittori per ragazzi credono che gli adolescenti o i bambini non abbiamo profondità di sentimento, lati oscuri  o conflitti interiori, e così li dipingono con la profondità di un panino alla mortadella. Senza formaggio.
Jacob si erge sopra di almeno una spanna a molti personaggi della narrativa young adult.
Quando parte per il Galles per visitare i luoghi dove il nonno era cresciuto, trova l'orfanotrofio distrutto ormai da settanta anni: una bomba, nel 1940, lo aveva centrato in pieno distruggendolo completamente e uccidendo tutti i suoi occupanti, tranne uno, un ragazzo che era riuscito a scappare. Ma allora, come si spiega la corrispondenza recente che il nonno riceva da Miss Peregrine? E le fotografie perfettamente conservate dei suoi compagni?
Jacob non si arrende, e arriva a scoprire il magico segreto che avvolge la casa di Miss Peregrine.
Ma scoprire il segreto del nonno e della casa non sarà abbastanza, perché con le sue ricerche Jacob ha, involontariamente, messo in pericolo chi quello stesso segreto doveva proteggere. E suo malgrado il ragazzo si troverà costretto a lottare per sopravvivere.
 

Primo libro di una trilogia, La casa speciale innesta in un contesto storico noto una mitologia fantastica abbastanza originale. Ransom Riggs scrive un libro sospeso fra realtà e fantasia, corredato di splendide fotografie d'epoca (la maggior parte delle quali autentiche, solo qualcuna ritoccata per esigenze letterarie) che si rivelano anche un filino inquietanti, ma che aggiungono al libro che quel fattore X che distingue un libro passabile da un libro bello. L'intreccio è vivace, il ritmo abbastanza buono.
Se in parte sembra di sentire, in lontananza, l'eco delle scuole "magiche" di potteriana memoria, lo sviluppo della trama è diverso, originale ed intrigante. I personaggi hanno uno spessore, cambiano ed evolvono non per "decreto autoriale" ma perché affrontano i conflitti irrisolti che si portano dentro.
 
Consigliato agli amanti del fantasy e della saga di Harry Potter.
Voto: 7

martedì 8 marzo 2016

Vipera...

...di Maurizio De Giovanni.
 
Fra la Questura e il Paradiso c'era qualche centinaio di metri, il pezzo finale di via Toledo e un tratto di via Chiaia. Ma l'ora era difficile: molta gente sui marciapiedi, i negozi aperti e l'aria dolce del primo pomeriggio di primavera a invogliare una passeggiata. Ricciardi e Maione avanzano a fatica nella folla, cercando di non perdere di vista la vecchia che li precedeva muovendosi sulle gambe storte con sorprendente agilità, seguiti dalle guardie Cesarano e Camarda che continuavano a scambiarsi occhiate complici. Avevano cominciato da quando Maione gli aveva comunicato l'indirizzo e non avevano più smesso.Ricciardi non si fidava della primavera. Non c'era di peggio dell'aria dolce, del profumo del bosco o di mare che il veto soffiava da Capodimonte o dal porto, delle finestre che si aprivano. Dopo l'inverno dei silenzi, delle vie gelide battute dalla tramontana, dei geloni e della pioggia fredda, le passioni hanno accumulato tanta di quell'energia distruttiva che non aspettano altro per eruttare il loro disordine.
 
Napoli, primavera del 1932. Il commissario Ricciardi e il fido brigadiere Maione vengono chiamati ad indagare sulla morte di una prostituta famosa, uccisa nella casa di tolleranza dove lavorava, il Paradiso. Maria Rosaria Cennamo, in arte Vipera, era la più quotata delle donne che lavoravano in quella casa. I sospettati sono molti: una collega gelosa, un vecchio cliente innamorato, un ex fidanzato tornato da Vipera con una richiesta di matrimonio, o forse qualcuno la cui presenza non è stata ancora rilevata.
Come sempre, il commissario vede l'ombra di Vipera ripetere incessantemente una frase dal significato oscuro, che sembra più intralciare le indagini che gettare luce sul mistero.
Intanto, durante il funerale di Vipera, il dott. Modo, amico del commissario, ha un alterco con un fascista in camicia nera, e il giorno dopo sparisce. Toccherà a Ricciardi scoprire cosa gli è accaduto, e salvarlo da un triste destino, con il provvidenziale quanto indispensabile aiuto di Livia, vedova Vezzi, ancora innamorata del commissario.
 
Dopo Giorno dei morti, eccomi a recensire un altro volume della serie del Commissario Ricciardi. Se Giorno dei morti rimane il mio preferito, Vipera per ora si colloca in fondo alla mia personale classifica di gradimento.
Le motivazioni sono diverse.
In primo luogo, non ho apprezzato la netta separazione tra le vicende personali del Commissario e l'indagine.
Nei precedenti volumi, c'era una amalgama perfetta tra i due aspetti, e anzi le vicende personali suggerivano a Ricciardi come completare l'indagine, e viceversa, qualche particolare dell'indagine aiutava il commissario a districarsi nella propria tormentata vita privata.
Qui invece mi sembra che tale equilibrio sia venuto meno, e che De Giovanni abbai preferito colpire nel vivo il commissario, lasciando l'indagine in ombra.
Certo, Ricciardi ha ancora a che fare con i suoi tormenti, ma sembra distratto, stanco, e con meno profondità di pensiero del solito.
Anche la Napoli che si prepara alla Pasqua, teatro della vicenda, sembra meno vera e più cartolina rispetto ai romanzi precedenti.
 
In secondo luogo, ritorna prepotentemente alla ribalta in questo romanzo Livia, vedova Vezzi, innamorata del nostro commissario, e non proprio in cima alla mie preferenze come personaggio letterario.
In questo romanzo il personaggio di Livia evolve ma non in senso positivo. Da donna forte, mondana ma non superficiale, capace di sopravvivere alla morte di un figlio, ad un marito distratto e crudele e al suo successivo omicidio, si trasforma in una donna sfatta, distrutta dall'amore non ricambiato di un uomo - il commissario - che in fondo conosce appena.
Quindi il fatto che io faccia smaccatamente il tifo per Enrica, l'amore platonico del commissario, non è l'unica ragione per cui non ho gradito l'ampia parte avuta da Livia nel romanzo.
 
Eppure il romanzo riveste nella serie dedicata a Ricciardi un'importanza cruciale. Esso segna un punto di svolta, è uno snodo fondamentale, e come tale deve essere assolutamente letto. Molti nodi vengono al pettine, e la storia personale del commissario dagli occhi verdi fa un balzo... in avanti? Indietro? Non sono ancora in grado di dirlo.
 
Resta la maestria e la bravura di De Giovanni, che con una scrittura lineare, semplice ma non per questo banale, ci lascia la fame addosso, la voglia di sapere cosa ne sarà nel prossimo romanzo dei protagonisti, e l'amore per dei personaggi che si ergono vivi  e vitali oltre le pagine stampate.
Del resto, la fame e l'amore, ci ha insegnato Ricciardi, muovono le azioni degli uomini... e anche quelle di noi appassionati lettori.
 
Voto: 6