giovedì 15 settembre 2016

Una lunga estate crudele...

...di Alessia Gazzola.

La scheda del libro sul sito della casa editrice Longanesi

Un altro cold case per Alice Allevi, la specializzanda in medicina legale goffa e pasticciona, ma con un talento per l'investigazione, arrivata ormai alla sua quinta avventura (contando anche il prequel).
Sono state ritrovati i resti di un giovane attore scomparso nel 1990, e sono stati scoperti in una sorta di cripta segreta nel teatro dove lavorava. I sospetti ricadono su quelli che all'epoca erano suoi colleghi: il divo che adesso ha fatto carriera, l'attrice innamorata di lui e gelosissima, che ha fatto perdere le sue tracce, il regista con cui aveva avuto pesanti dissidi.
Indagando nella vita del giovane uomo, spuntano fuori una fidanzata di cui nessuno sapeva nulla, e una collega con cui forse aveva avuto una relazione.
Chi è il colpevole? E quale era il movente?
 
Diciamo che nei cold case Alice da il meglio di sé. C'è da scavare nel passato delle vittime, ricostruire relazioni, stati d'animo, atmosfere. E qui la oramai proverbiale curiosità della nostra protagonista diventa indispensabile e da molti risultati.
Il tema dell'omicidio a teatro (e oltretutto un teatro di concezione elisabettiana, completamente dedicato all'opera di Shakespeare) è un tema tipico del giallo classico, ma non per questo meno interessante. Anzi, gli amanti del mistery classico troveranno l'atmosfera intrigante e sicuramente di loro gradimento.
Intorno a questo teatro ruotano le vicende che hanno portato alla sparizione di Flavio, della piccola compagnia che vi recitava, e delle persone a loro legati. Tutti sembrano avere dei segreti, e molti di loro mentono, per le più svariate ragioni. La ricostruzione delle vicende passate, dove si cela la soluzione del mistero, è progressiva; ogni volta che un tassello si aggiunge agli altri chiarisce qualcosa ma apre tutta una serie di possibili nuovi scenari, cosicché per il lettore diventa sempre impossibile arrivare ad un "punto morto" e mettere giù il libro.

Mi spiace ripetermi, ma per me le dolenti note arrivano quando entra in scena il dott. Conforti. Sul serio, non riesco a capire come questa attrazione possa andare avanti. Mentre la Gazzola ci regala una splendida riflessione sull'amore nel caso di Arthur, secondo me nella relazione discontinua Alice-Claudio ci sono delle forzature.
Quando Alice capisce che non può stare con Arthur perché l'amore non basta, purtroppo, ci vuole la volontà di costruire qualcosa insieme, e soprattutto di incontrarsi a metà strada, ci dice qualcosa di estremamente sensato ma che raramente si trova nei romanzi. Nei libri l'amore trionfa sempre, anche quando noi lettori capiamo benissimo che nella realtà la coppia in questione durerebbe cinque minuti.
Allora Alice compie una matura - e struggente - riflessione sul suo rapporto con Arthur, ma non riesce a fare lo stesso con quell'irritante del dott. Conforti? Boh.
 
Il finale è agro, e per una volta non pienamente risolutivo. Non mi ha soddisfatta appieno, onestamente. Ma non perché sia un finale brutto o incoerente. Semplicemente, io avrei desiderato qualcosa di più.

Voto: 7
 
Ps:
Avrei da notare un paio di particolari che mi hanno leggermente infastidito, ma che non sono strettamente legati alla recensione vera e propria.
 
Particolare n. 1: la vittima è scomparsa nel 1990, quindi, dicono a più riprese nel romanzo, ventiquattro anni prima. Ergo, il romanzo è ambientato nel 2014.
Ora, il romanzo precedente, Le ossa della principessa, si svolge immediatamente prima di questo (nell'ultimo capitolo viene introdotta la notizia del ritrovamento di un cadavere nel teatro).
Ebbene, ne Le ossa, la vittima, dicono le analisi, è morta più di tre anni prima ma meno di sei, quindi, ci informa l'ispettore Calligaris, tra il 2005 e il 2009 - ergo siamo nel 2012. E quindi qualcosa non torna. Non so se sto sbagliando qualcosa di ovvio e macroscopico nel mio ragionamento; in caso, vi chiedo di farmelo notare, perché mi pare un errore piuttosto banale e inverosimile.
 
Particolare n. 2: Alice parte per Marsiglia per svolgere delle indagini, e sua madre, a telefono, se ne esce con questa frase: «Ma tu lo sai che Marsiglia è peggio di Napoli? È una delle città più pericolose del mondo».
Ora, non commetterò certo l'errore di confondere la voce di un personaggio con quella del suo autore. Ma la frase in questione mi ha infastidito un poco, perché è messa in bocca ad un personaggio secondario ma senza la finalità di caratterizzarlo in un certo modo (come avente dei pregiudizi, o come ignorante o anche  - perché no, ci può stare - come razzista). La frase è buttata lì perché è semplicemente un paragone facile, un luogo comune trito; certo, è  di immediata comprensione, ma sciatto e banale, cosa che non mi aspetto da una scrittrice di talento. Una scorciatoia. Ecco cosa mi ha infastidito: il perpetuare un luogo comune sgradevole perché si è scelta la via più breve.  
Certo, è una piccolezza e me ne rendo conto. Ma allo stesso tempo non riesco a non sentirmi infastidita da questa abitudine dilagante specialmente nei titoli di giornale e sui social network di usare la città di Napoli, bella, splendida, particolare, complicata e problematica, come paradigma di ogni male, come pietra di paragone di tutto ciò che è negativo.
E' una sottigliezza, lo so. Ma mi da fastidio e volevo dirlo.
Un'ultima cosa: né Napoli, né Marsiglia, sono tra le città più pericolose al mondo.  E non perché lo dico io. Basta guardare qui (è in tedesco ma la mappa è abbastanza chiara, sono le 17 città considerate più pericolose in Europa) e qui
 
 

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