mercoledì 31 agosto 2016

La briscola in cinque...

...di Marco Malvaldi.


La scheda del libro sul sito della Sellerio Editore

Calma, calma, calma. Ora devi calmarti, sennò fai la figura del pazzo. Mi sento come il protagonista di quel libro di Sciascia, Una storia semplice, quando il suo superi ore gli dice dov'è l'interruttore della luce nella stanza e lui capisce tutto, chi è l'assassino e come ha fatto. E come lui, non so a chi cacchio dirlo. Alla madre di Alina, sì, strano che adesso nella mia testa «quella ragazza» sia diventata Alina. Un nome letto sui giornali e una faccia cerea che sporgeva da un cassone del sudicio sono diventati una persona. Una persona reale, certo. Una che aveva vissuto, bevuto, amato, e che si era fidata troppo della persona sbagliata. Non mi sento a mio agio, ora. Finché era un gioco, un esercizio, andava bene. Ma ora... senti, non è colpa tua. Questa cosa ti è capitata tra gli zebedei senza che tu te la cercassi, e ora che hai capito cosa è successo devi solo provarlo. Non è che tu la trovi una buona spiegazione, è semplicemente la spiegazione giusta. Punto. Anche se è brutta. Non puoi farci nulla. Forse è meglio se incomincio andando da Fusco. Prima, però, la doccia e mi cambio. L'unica volta in vita mia in cui scopro un assassino, cacchio, mica posso farlo tutto incrostato di salmastro e con la maglietta di Daffy Duck.

Massimo Viviani gestisce un bar nella piccola località turistica di Pineta, in Toscana. Nonostante gli sforzi per elevare il tono del suo bar, l'atmosfera è irrimediabilmente "guastata", a suo parere, dal continuo stazionamento di un gruppetto di vecchietti, capitanati dal nonno di Massimo, Ampelio. I quattro anziani non hanno di meglio da fare che starsene al bar tutto il giorno, giocare a carte e a biliardo, occupare il tavolo migliore (con somma disperazione di massimo) e chiacchierare.
Un giorno, il cadavere di una ragazza viene ritrovato in un cassonetto, e questo sì che darà da parlare ai quattro vecchietti, che riusciranno a infilarsi a forza nell'ingranaggio delle indagini, trascinando Massimo con loro - suo malgrado.
 
Malvaldi è oramai un autore molto noto; alcuni dei suoi romanzi sono stati anche adattati per la tv.
Questo è stato il suo primo romanzo. Qui è dove tutto è cominciato.
Il lettore si trova trasportato nell'immaginario borgo di Pineta, in un piccolo bar come ce ne sono tanti, frastornata dalle chiacchiere degli avventori abituali (non so voi, ma io ho avuto qualche difficoltà all'inizio a ricordare i nomi dei simpatici vecchietti).
La vitalità dei protagonisti più anziani (Ampelio, Pilade, Aldo e il Rimediotti) diventa immediatamente la protagonista del romanzo. Nonostante l'iniziale straniamento, ci sentiamo ben presto anche noi abituali frequentatori del Bar Lume. Merito sicuramente dello stile frizzante di Malvaldi, punteggiato qua e là di modi di dire toscani che rendono tutto ancora più vivo e reale.
Massimo, il barrista, come si definisce lui, è la voce pacata della ragione, che smorza gli entusiasmi, analizza con metodo matematico e riflette su ogni circostanza.
L'ironia, le battute, le prese in giro colorite che i protagonisti si scambiano restano comunque solo un contorno per caratterizzare l'ambientazione del romanzo, e non prendono mai il sopravvento.
La narrazione è finalizzata a raccontare le indagini, e lo stile gradevole, scorrevole e leggero di Malvaldi è il mezzo, non certo il fine.
 
La trama gialla ha un impianto classico. Si parte con il ritrovamento del cadavere della vittima - ma senza mostrare l'omicidio, e si arriva all'epilogo in cui Massimo ricostruisce tutta l'indagine e si assicura che ogni pezzo del puzzle sia andato al suo posto, passando per un discreto colpo di scena che scardina completamente le premesse iniziali.
Solitamente nei romanzi odio gli spiegoni, ma trovo che nei gialli, specie in quelli forniti di varie distrazioni come questo, siano utili e fondamentali. Li adoro!
 
Solo un autore che sa il fatto suo può permettersi senza timore un riepilogo analitico e completo.
 
Voto: 7 e 1/2.
 
 
 

1 commento:

  1. anche a me è piaciuto, proprio il suo stile. Anche se ho "patito" il fatto che è tanto in dialetto

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