lunedì 16 maggio 2016

Il resto della settimana...

...di Maurizio De Giovanni.
 
Premessa: lo so, ultimamente sono un po' monotematica, ma libro dopo libro la scrittura di De Giovanni mi ha preso sempre di più.
Inoltre, bisogna festeggiare il ritorno del Napoli in Champions League e l'ingresso di Higuain nella storia del campionato di serie A... Quale migliore occasione per recensire un romanzo calcistico?
 
 
 
Ok, ora che mi sono sfogata, e che ho fatto scappare tutti i tifosi delle squadre avversarie, a cui comunque vanno i miei complimenti (specialmente alla Roma che ci ha fatto stare in ansia, parecchio in ansia!), possiamo passare a parlare di libri.
 
 
 
 
In un piccolo bar non lontano dal centro di Napoli, si incontrano diversi personaggi, ognuno con la sua filosofia di vita. Quando un cliente fisso, detto semplicemente O' Professore, decide di scrivere un saggio sull'influenza del tifo calcistico sulla vita delle persone, Peppe, il proprietario del bar, decide di dargli una mano presentandogli le persone giuste da intervistare, facendogli scoprire storie e persone, e anche sentimenti che O' Professore credeva di aver dimenticato.
 
Questo romanzo è in realtà una raccolta di racconti a tema calcistico, tenuti insieme dal filo conduttore del Professore che parla con chi queste storie le ha vissute. L'ambientazione è, ovviamente, come è tipico delle opere di De Giovanni, la città di Napoli, ma non c'è bisogno di essere tifosi del Napoli per apprezzare le storie narrate (vabbè, aiuta, ma non è indispensabile).
Nove racconti che guardano il tifo da punti di vista diversi, ma che hanno in comune la risposta alla domanda: che cosa fa un tifoso, uno di quelli davvero malati, per tutto il resto della settimana?
 
[...] quello da intercettare era proprio il tifoso non professionista. Quello che coltivava la propria passione nonostante. Nonostante la propria cultura. Nonostante la propria professione. Nonostante il proprio contesto sociale. Nonostante il rispetto delle apparenze. Gli interessava, insomma, il dottor Jekyll che nascondeva, acquattato nell’ombra della sua inconsapevolezza, un Hyde affamato di manifestazioni istintive. La domanda era: che cosa faceva quell’individuo inquadrato dalle telecamere dopo un gol, la bocca contorta in un urlo spaventosamente liberatorio, le mani adunche a mo’ di artiglio, il filo di bava sul mento, i capelli diritti in testa e gli occhi iniettati di sangue, nel resto della settimana? Chi era? Di cosa discuteva? Quanto di quella passione tratteneva in petto, e quali ricordi, ossessioni, rimpianti, gioie e rimorsi generava?

Il tifo calcistico di cui parla De Giovanni è quello pulito e passionale. Il tifo come dovrebbe essere. Quello fatto di amore e allegria, non di odio e guerriglia. Quello che ama un calcio sano, senza imbrogli e sospetti, senza schede telefoniche svizzere, senza agenti in tenuta antisommossa per una partita, senza accoltellamenti, senza individui di dubbia moralità seduti a cavallo dell'inferriata allo stadio. Un calcio così non esiste, almeno non completamente, ma esiste il tifo pulito e ingenuo.
Quello che questi racconti vogliono far conoscere.

I miei preferiti sono:

La presa di Torino, ovvero il tragicomico racconto di un viaggio, effettuato nel novembre del 1986, da quattro amici da Napoli a Torino per assistere alla partita Juventus - Napoli. Viaggio compiuto a bordo di una Fiat Regata presa in prestito e con il solo svago di una audiocassetta dei grandi successi dei Cugini di campagna.
Poco male, avevamo di che parlare. Dovevamo determinare la formazione e precostituire gli eventi. L’equivalente di una missione diplomatica mediorientale [...]
Schiere di pellegrini azzurri sciamavano sulla città dalla cupola a punta, improvvidamente vestiti come Totò e Peppino: Torino a novembre uguale freddo e pioggia, quindi cappottoni, cappelli, guanti e ombrelli. Le sciarpe a parte, naturalmente. Ma quelle fanno parte dell’uniforme, generale Wellington. E invece, il giorno della Storia c’era un pallido sole e faceva tutt’altro che freddo [...]

Mi piace questo modo di De Giovanni di non prendersi sul serio, e di prendere in giro anche le caratteristiche del tifoso medio. Insomma, la fede calcistica è una cosa importante, ma non una cosa seria.

Luiz torna a casa, il delicato racconto di un figlio che è scappato lontano dalla sua città e della sua famiglia, e ritorna malvolentieri per vedere un'ultima volta il padre morente. Grazie ad una partita di calcio, ritroverà la complicità perduta con la famiglia.
Detta così, potrebbe sembrare un racconto melenso e stucchevole. Ma vi assicuro che non lo è. I sentimenti dei personaggi sono ben approfonditi, per quanto è possibile nel breve spazio di poche pagine, e l'affettuosa ironia con cui De Giovanni li descrive e ci racconta le loro azioni evita che si cada nello sdolcinato. Anche il modo in cui verrà ritrovato il legame familiare non è banale.

Il miracolo di Margherita, il mio preferito in assoluto, forse perché di tutti è il racconto "più racconto", quello più narrato, una storia che non è esclusivamente cornice o pretesto per raccontare un evento calcistico. Bello il finale, con quel tocco di follia e di magia, e accattivante la scelta stilistica di narrare la trama dal punto di vista di due personaggi differenti e che non si incontreranno mai nella storia.

Una menzione speciale a Il colpo di fortuna, che col calcio c'entra solo di striscio, ma che è un racconto originale e divertente, come già si intuisce dall'incipit:

Io un colpo di fortuna solo ho avuto, nella vita. Le corna.
Cacchio, penserete voi: e se le corna sono un colpo di fortuna, figurati la sfiga! Lo so che sembra strano: ma io dico davvero, e se avete un poco di pazienza vi racconto tutto dal principio, e vedrete che concorderete con la mia analisi.

Insomma, alla fine del libro ci troviamo con un ritratto del tifo calcistico comico, ironico, ma a tratti anche triste e malinconico.
Si può leggere come una semplice antologia a tema calcistico, oppure lo si può leggere per cercare di capire alcune cose sul perché la passione per "il pallone" sia così travolgente.
Leggendo con la mente aperta si capirà [...] che proprio quando il destino e la storia si accaniscono contro un popolo, dotandolo di tutte le piaghe che la civiltà occidentale sa infliggere, un po’ di gioia e di effimera felicità diventano necessarie alla sopravvivenza. Che non è giusto per nessuno vivere costantemente immerso in un disagio che non si ha la forza o il modo di risolvere. Che c’è un bisogno fisico di urlare, cantare e ballare senza freni, almeno una volta ogni trent’anni. Che questo ballare, cantare e urlare è il sapore della gioventù, e che questa gioventù non si nega a nessuno.

Voto: 7 e 1/2

1 commento:

  1. Che bello qui, si parla di libri e visto che abbiamo la stessa passione sperio di vederti da me. Vorrei una tua opinione. Grazie.

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