venerdì 13 gennaio 2012

Il mercante di libri maledetti...

...di Marcello Simoni.

Trama:

Italia, 1218.
Ignazio da Toledo, mercante di reliquie, riceve dal conte Scalò, notabile veneziano, il compito di mediare l'acquisto di un antico e tomo, l'Uter Ventorum, offertogli in vendita da un monaco, Vivienne de Narbonne, che Ignazio conosce bene e che credeva morto 13 anni prima. Sulle tracce del libro c'è anche un misterioso tribunale segreto, la Saint Veheme, che anni prima aveva costretto Ignazio a fuggire dall'Italia per riparare in Oriente. Con il fido Willalme ed il giovane segretario Uberto, Ignazio parte alla ricerca del libro.

Incipit:

Chi fosse realmente Ignazio da Toledo, nessuno avrebbe saputo dirlo con certezza. A volte fu giudicato saggio e colto, a volte infido e negromante. Per molti era solo un pellegrino, girovago da una terra all’altra in cerca di reliquie da vendere ai devoti e ai potenti. Benché evitasse di rivelare le proprie origini, i suoi lineamenti moreschi, ingentiliti dalla carnagione chiara, parlavano fin troppo dei cristiani vissuti in Spagna a contatto con gli arabi. Il capo completamente rasato e la barba plumbea gli conferivano un’aria dottorale, ma erano gli occhi a catturare l’attenzione: smeraldi verdi e penetranti incastonati fra rughe geometriche. La sua tunica grigia, coperta da un mantello con cappuccio, emanava la fragranza delle stoffe orientali intrise di aromi per il tanto viaggiare. Alto e magro, camminava appoggiandosi a un bordone. Questo era Ignazio da Toledo e così lo vide per la prima volta il giovane Uberto, quando la sera piovosa del 10 maggio 1218 il portone del monastero di Santa Maria del Mare si aprì. Entrò un’alta figura incappucciata seguita da un uomo biondo che si trascinava dietro un grosso baule.

Se vi va, potete leggerne online un estratto .

Credo che questo libro, nonostante una trama all'apparenza intrigante e nonostante la grande pubblicità che ha alle spalle (ad esempio oggi - 08.01.2012 - Simoni è stato intervistato su RaiUno, durante la rubrica del TG1 Billy - ed oggi 10 gennaio, apprendo che il romanzo ha vinto il premio Salgari per la narrativa avventurosa!), sia un prodotto acerbo, non ancora compiuto, a tratti un po' ingenuo. Tutto lo studio e la documentazione che l'autore dice di aver messo nella stesura di questo romanzo non bastano a coprirne i difetti - difetti che sinceramente mi stupisce trovare in un'opera che è passata attraverso due diverse pubblicazioni (la quarta di copertina ci informa che il libro è stato pubblicato prima in Spagna, nel 2010).
 
Già dallo stesso incipit si possono intuire le prime avvisaglie del fatto che qualcosa non va.
Lo scrittore inizia narrando con un punto di vista esterno di Ignazio da Toledo e della sua fama misteriosa, per poi passare senza un perchè, ex abrupto, al punto di vista del giovane Uberto.
Infatti, quando Uberto apre la porta, il lettore si aspetta che entri Ignazio, invece vediamo entrare  un’alta figura incappucciata. E' ovvio che si tratta di Ignazio, ma per un istante la mente del lettore smette di fluire insieme alla trama e si chiede " ma mo' questo chi è? Ah, sì è Ignazio dal punto di vista di Uberto!"; il ritmo si spezza, l'incanto si rompe e il lettore prova fastidio (o almeno, io ho provato fastidio!).
E proseguendo in quello stesso capitolo, in poco più di due pagine il punto di vista (o POV - point of view) salta senza ritegno da Uberto, ad Ignazio, all'abate del monastero.
La cosa è così frequente e ripetuta nel corso del romanzo che non so cosa pensare: l'autore ha semplicemente ignorato la regola tecnica del punto di vista, anche se non saprei dire se per scelta consapevole o meno.

Le descrizioni dei personaggi sono sempre qualcosa di avulso dal contesto e staccato dall'azione e dalla scena. L'autore si ferma (e ci ferma mentre leggiamo) e descrive, in perfetto stile "lista della spesa" ogni singolo personaggio che arriva in scena, fosse anche l'ultimo degli stallieri che compare per due righe e poi ritorna nell'oblio. Siccome non pretendo che mi crediate sulla parola, vi faccio qualche esempio:

[da pag. 63: Ignazio sta lottando con un losco figuro che lo stava spiando. L'uomo è armato di pugnale, Ignazio è dosarmato e in pericolo. Arriva provvidenzialmente Willalme e attacca il losco figuro. Mentre i due si battono...] Il mercante avvertì la rabbia di quel figuro (eggià, non l'avevo capito che era arrabbiato, ha soltanto tentato di ucciderti con un pugnale..N.d.Lisse), ma anche la sua indecisione. E per quanto non riuscisse a a distinguerne i lineamenti, lo studiò con attenzione. Era alto e robusto, sicuramente avvezzo a indossare l'armatura. Il suo portamento non era quello di uno sgherro qualunque, ricordava piuttosto i cavalieri dell'esercito crociato. Quegli armigeri avevano un modo tutto loro di camminare, con le gambe divaricate e il busto proteso in avanti . Inoltre l'uomo in nero doveva essere abituato a maneggiare armi pesanti, spade o mazzapicchi, perchè appariva palesemente a disagio con un semplice pugnale. Il tempo di fermò per un istante, poi l'uomo in nero si voltò di scatto e si precipitò di corsa versao l'uscita.

Questo brevissimo estratto è paradigmatico del modo di raccontare di Simoni. Potrei sorvolare sul fatto che un tizio le sta dando di santa ragione al tuo amico, e tu, Ignazio, ti metti a sproloquiare nella tua testa di come cammina il losco figuro, invece di intervenire; sorvoliamo sul fatto che in un istante Ignazio fa una radiografia allo sconosciuto (poco è mancato che ci dicesse pure cosa aveva mangiato a pranzo), sorvoliamo sull'infodump sugli armigeri, e sorvoliamo sul fatto che precipitarsi di corsa non è corretto in italiano (io non ho mai visto nessuno precipitarsi a passo di lumaca, infatti il significato di precipitarsi è andare con impeto e di corsa verso qualcuno o qualcosa); la cosa peggiore secondo me è che Simoni spezza la narrazione con una descrizione di dubbia utilità pratica (tanto noi lettori già lo sappiamo - o lo scopriremo a brevissimo - che il losco figuro non è uno sgherro qualunque), che uccide l'azione e il ritmo della scena.

Le descrizioni stesse poi, sono di un'ingenuità disarmante, a partire dagli occhi verdi paragonati agli smeraldi nell'incipit. Esiste una metafora più abusata di questa? Per di più la metafora è ripetuta in continuazione, le iridi smeraldine di Ignazio sono un po' dappertutto nel romanzo.
Le persone poi non sono in un certo modo, no, le persone hanno un'aria, così come le cose hanno un aspetto, e tutto è piuttosto alto, o basso, o spesso... Le descrizioni sono sempre vaghe, generiche, indecise.
Pare che l'autore non sia sicuro di niente, che non si voglia prendere la responsabilità di fare un'affermazione definitiva.

[pag. 156] [...]aveva l'aspetto di un piccolo gazebo tunisino[...]

[pag. 169]Il giovane prese un'ampolla piuttosto spessa[...]

[pag. 170]  In un angolo della stanza commpariva un forno dall'apetto singolare [...]

[pag. 204] [...] sebbene l'aspetto sciupato lo facesse sembrare più vecchio.

[pag. 170] Ignazio e Uberto si portarono al centro del laboratorio, dove si trovava un tavolo da lavoro. Era senz'altro il mobile di maggior pregio presente nella stanza. Aveva l'aspetto di uno scrittoio di legno piuttosto alto, con ante riccamente intarsiate [...]

Insomma, è un tavolo o uno scrittoio? Non siamo ad Howgarts dove una cosa può avere l'aspetto di una teiera ed essere la professoressa Mc Grannit!
Ma poi, i tavoli hanno le ante? Ed in ogni caso, come fa questo tavolo con l'aspetto di scrittoio posto in mezzo alla stanza a nascondere il cadavere di un tizio morto mentre stava scrivendo al medesimo tavolo, tanto che Ignazio e Uberto perquisiscono il laboratorio ma non trovano il cadavere se non alla fine della loro ispezione?
Questa sorta di insicurezza ritorna anche sotto altre forme. Simoni infatti ha il vizio di ribadire in continuazione l'ovvio, forse per essere sicuro che il lettore abbia capito bene quello che sta accedendo.

Esempi:

[...pag 62:Ignazio è a colloquio col conte Scalò; Willalme, rimasto di guardia, vede un losco figuro vestito di nero seguire i due nel luogo dove si sono appartati] Willalme penetrò nella cripta convinto che l'uomo in nero fosse entrato là dentro per spiare Ignazio.

Davvero?!? E io che pensavo volesse ordinare una pizza!

[pag. 171: Ignazio scopre un cadavere] Un taglio praticato sotto il mento, da orecchio a orecchio, indicava la causa della morte. Gli avevano reciso gola e carotide e il sangue era fuoriuscito copioso, lordando gli abiti e il pavimento.

E io che pensavo fosse morto di infarto!
Davvero, dopo che l'autore mi ha descritto il taglio da orecchio a orecchio, è proprio necessario ribadire che il cadavere ha la gola tagliata? E di esempi simili se ne potrebbero fare molti altri.

La trama stessa risente della medesima insicurezza narrativa.
Strutturata come una classica caccia al tesoro, con i protagonisti che risolvono indovinello dopo indovinello, non ha veri e propri buchi logici, ma, ancora una volta, pecca di ingenuità - o forse di presunzione, facendoci credere d'essere più misteriosa di quello che è.

Innanzitutto, ciò che è ovvio per i più, non è ovvio per l'autore e i suoi personaggi, dato che questi ultimi sono soliti scoprire cose ovvie con il tono e l'entusiasmo di chi ha appena scoperto l'America con due secoli di anticipo.

La ricerca dei protagonisti parte dalla tomba di Vivienne de Narbonne, dove i nostri scoprono inciso sulla sua croce un indovinello in versi che dovrebbe guidarli nella caccia all'Uter Vetorum; diligentemente lo trascrivono e poi, nonostante già sappiamo di essere seguiti, lo lasciano lì senza fare il minimo tentativo di distruggerlo/renderlo illegibile/camuffarlo. Dopo essere caduti in numero imprecisato (ho perso il conto) di imboscate da parte della Saint Veheme, Ignazio giunge alla incredibile conclusione che i loro antagonisti dovevano aver trovato l'enigma lasciato da Vivienne de Narbonne a San Michele della Chiusa.
E come avranno mai fatto? Questi loschi figuri del Tribunale segreto ne sanno davvero una più del diavolo!!

I lettori non possono provare lo stesso stupito entusiasmo di Ignazio quando egli leggendo un indovinello secondo cui l'indizio che cercano è segnato con il fuoco, sulla cute, esclama soddisfatto e orgoglioso che devono cercare un tatuaggio!
Di fronte agli inviati del terribile tribunale segreto (pag. 201), uno dei quali se va in giro con una maschera rossa (tanto per passare inosservato) Ignazio  ebbe un attimo di titubanza, poi ne fu certo: quello era Dominus, la Maschera Rossa.
Ignazio ha pure un attimo di dubbio! Cioè, ci ha anche dovuto pensare su per capire che un tizio con la maschera rossa è la Maschera Rossa.
Ora capisco perchè l'autore ci ricorda sempre che Ignazio ha un sorriso volpino: perchè tutte le mattine mangia pane e volpe. Certe brillanti intuizioni non si spiegano altrimenti.

Parlando di furbizia, però, una menzione speciale la meritano anche i cattivi del romanzo: costantemente vestiti di nero e incappucciati, anche con 40 gradi all'ombra (non è un'esagerazione mia, succede davvero nel romanzo), anche nel bel mezzo del mercato una ridente cittadina spagnola, tentano di uccidere nel prologo Vivienne de Narbonne, ma invece di sgozzarlo nel sonno, gli lasciano un educato biglietto sulla porta della sua cella al monastero, fermato da un pugnale a forma di croce, per metterlo sull'avviso e dargli agio di scappare; in più organizzano riunioni segrete in una locanda affollata e per riconoscersi tra loro conficcano ciascuno il loro pugnale a forma di croce sul tavolo, tanto per essere discreti.

Dopo la presunta morte di Vivienne di Narbonne (il cadavere non è stato mai ritrovato) attendono 13 anni prima di mettersi alla ricerca dell'Uter Ventorum - e la cosa bella è che tutto (la cenna del monaco, i nascondigli, gli indizi etc.) sono rimasti fermi a 13 anni prima senza che una nulla sia stata spostato o sia andato perso nel corso degli anni.

Inseguono Ignazio per mari e per monti e cercano più volte di ucciderlo, quando alla fine scopriamo che comunque il loro gioco era lasciare che egli trovasse l'Uter (che è stato diviso in quattro parti e nascosto) per poi impadronirsene. E allora?

Capisco che con tutto questo sproloquio può sembrare che io abbia deciso di massacrare il romanzo, ma in realtà non è così. Sono convinta che tutti questi difetti si sarebbero prontamente potuti eliminare; bastava, che so, mostrarci che Ignazio e i suoi compagni prendono precauzioni per non farsi seguire o rintracciare (invece di meravigliarsi ogni volta che la Saint Veheme li trova); oppure evitare di far catturare a Willalme un cattivone e di lasciarlo andare spensieratamente senza interrogarlo; oppure evitare di lasciar passare 13 anni tra la morte di Vivienne e l'inizio della ricerca. Dettagli che avrebbero migliorato il romanzo senza assolutamente stravolgerlo.

Il finale merita un discorso a parte perchè, nonostante le potenzialità, è inverosimile. Come sempre, SPOILER! Selezionate con il mouse se volete leggere!!

Scopriamo che in realtà Vivienne de Narbonne, dopo aver simulato la sua morte, si è dedicato anima e corpo a infiltrarsi tra le fila della Saint Veheme; nelle ultime pagine del romanzo riesce a uccidere Dominus e prendere il suo posto a capo del tribunale segreto. Ormai reso folle dalla brama di potere, ha bisogno di Ignazio per svelare l'ultimo enigma dell'Uter Ventorum, ovvero quale sia l'incantesimo giusto, confuso fra sette, per evocare l'entità angelica (per una volta tanto nessuna evocazione demoniaca!) che garantirà potere supremo al suo evocatore.
Ora, Vivienne e Ignazio sono amici; Ignazio lo considera un uomo degno di fiducia. Perchè Vivienne, una volta infiltratosi nella Saint Veheme non recupera l'Uter che egli stesso ha nascosto, proteggendolo con enigmi vari, e poi chiede ad Ignazio di aiutarlo? Non poteva usare le maniere forti solo dopo un eventuale rifiuto di Ignazio?
La spiegazione è che Vivienne ha organizzato una delirante caccia al tesoro per disfarsi di Dominus. Secondo me, come spiegazione non regge. I cari vecchi sistemi di una volta no? Veleno, coltellate alla schiena in un vicolo buio...
Oltretutto scopriamo che Vivienne, 15 anni prima, aveva offerto il libro in vendita alla Saint Veheme, la quale si è rivoltata contro di lui e l'ignaro Ignazio (che a quel tempo lo accompagnava), braccandoli e costriggendoli a nascondersi. Il Tribunale non poteva semplicemente comprare il libro? Sì, è vero che al suo interno c'erano diverse correnti ciascuna col proprio pensiero riguardo l'uso da fare del libro, ma perchè scatenare una caccia all'uomo? Non si poteva semplicemente cercare di acquistarlo ad un prezzo maggiore, sottraendolo così alle fazioni avverse?
FINE SPOILER

Di positivo c'è che il romanzo costa solo 9,90 euro (online si trova anche a meno) e che l'ambientazione storica non presenta errori di sorta, a parte qualche piccolo anacronismo esclusivamente linguistico (come per esempio l'affermazione che un certo monastero ha un servizio d vigilanza).

Certo è che Il mercante di libri maledetti non è Il nome della Rosa, e nemmeno I pilastri della terra, come strilla la sovracopertina.

Il Mercante di libri maledetti, di Marcello Simoni

Pro: ambientazione storica corretta
       
        prezzo conveniente

Contro: ingenuità stilistiche

             ingenuità nella trama

             ritmo spezzato da descrizioni a volte inutili

             personaggi non ben caratterizzati, anche per colpa di un punto
             di vista mai fermo a lungo
             
            finale inverosimile e forzato

Voto: 5

2 commenti:

  1. trovo le tue recensioni curate e dettagliate..sei un punto di riferimento..grazie

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  2. trovi un riconoscimento per te nel mio blog: http://letteraturaecinema.blogspot.com/2012/01/liebster-blog.html

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