venerdì 18 dicembre 2009

Eldest...

...di Christopher Paolini.

Sarò breve, anche perchè dilungandomi rischierei di ripetere quello già deltto nella recensione di Eragon.

In questo secondo volume del Ciclo dell'Eredità, troviamo Eragon alle prese con il suo addestramento presso gli Elfi; i suoi crescenti sentimenti per Arya, l'elfa da lui salvata dalle grinfie di Galbatorix, il malvagio imperatore; e troviamo anche Roran, cugino di Eragon, alle prese con i malvagi agenti dell'Impero, i Ra'zac, che voglio catturarlo per usarlo come esca per intrappolare il giovane Cavaliere dei Draghi.

Comincio col dire che ho trovato questo secondo volume migliore del primo. Nonostante avessi letto in rete commenti meno lusinghieri, questo romanzo ha una maggiore ragion d'essere.
Lo stile di Paolini resta prolisso e incline a dilungarsi a vuoto su dettagli insignificanti, ma credo che uno sforzo di dare una maggiore consistenza alla trama sia stato fatto. Purtroppo, premesse che paiono interessanti vengono, nel prosieguo della trama, private di forza e coerenza dalle scelte dell'autore, sciupando così gli spunti di un certo pregio.

Facciamo degli esempi.
Il periodo di soggiorno del protagonista tra gli elfi non manca di organicità e di qualche spunto interessante.
Le battute iniziali dell'addestramento di Eragon sono quelle che hanno destato maggiormente la mia curiosità: si vedeva che qui c'era qualcosa da raccontare, da narrare al lettore.
E' un vero peccato che l'autore le tiri troppo per le lunghe, mostrandoci i giorni di Eragon in tutta la loro sfolgorante, banale ripetitività.
Avevo trovato piuttosto interessante poi l'aver finalmente cercato di dare a Eragon un po' di spessore.
Infatti il ragazzo, alla fine della battaglia con cui si chiude Eragon, aveva riportato una gravissima ferita, la cui cicatrice gli solcava l'intera schiena, e che essendo di origine magica lo tormentava senza preavviso, fino a farlo svenire e a renderlo, sostanzialmente, un invalido.
Di recente ho letto un manuale di scrittura, a firma di Orson Scott Card, il quale sostiene che niente è meglio della sofferenza per rendere un personaggio interessante e incuriosire il lettore. Parole sacrosante.
L'affermazione trova conferma anche qui.
Basta riflettere un attimo:  Eragon è l'ultimo dei Cavalierei dei Draghi, è la speranza dei ribelli e ha una ferita invalidante. Come se la caverà? Riuscirà a portare a termine il suo compito, nonostante tutto? Riuscirà a venire a patti con questa nuova realtà?
Ok, l'idea della ferita soprannaturale che tormenta il protagonista  non è nuovissima (Frodo, ci sei?) ma in fin dei conti aveva un che di intrigante.
Dico aveva perchè, più o meno a metà del romanzo, Paolini ha la brillante idea di far discendere dal cielo, durante una celebrazione elfica, gli spiriti dei draghi ancestrali, i quali, decidono, così, tanto per non annoiarsi, di guarire Eragon dalla sua ferita, di tramutarlo praticamente in un elfo e di fargli quindi acquisire forza, resistenza, agilità e velocità elfiche.
Da questo momento in poi Eragon, che già non se la cavava male, sarà sempre e comunque superiore a qualunque essere umano sulla faccia della Terra.
Mi verrebbe da commentare: ti piace vincere facile, eh?
La cosa che ho trovato maggiormente fastidiosa in questa svolta che ha preso la trama, è che Eragon non ha dovuto far nulla per conquistarsi questa guarigione miracolosa, non l'ha nemmeno dovuta chiedere; è piombata dal cielo e basta. Perchè gli spiriti ancestrali dei draghi gli hanno concesso questa benedizione? Perchè sì. Punto e basta.

Altro spunto intrigante (il migliore del romanzo, a parer mio) è quello che riguarda una bambina dei Varden (i ribelli) benedetta da Eragon prima di partire verso le terre degli Elfi.
L'intenzione del ragazzo era quella di gettare un'incantesimo su di lei in modo che fosse sempre protetta dal male e dal dolore; invece Eragon sbaglia la dizione delle parole nell'Antica Lingua, e condanna la bambina ad essere una protezione dal male e dal dolore. In pratica la bambina senta il dolore e la sofferenza di tutti quelli che le stanno intorno, e prova un impulso irrefrenabile a impedire che le persone soffrano.
Una condanna atroce, che potrebbe avere chissà quali conseguenze sulla sanità mentale della piccola e anche sullo svolgimento della trama. Peccato però che Paolini, per prima cosa, si premuri di rassicurarci sul fatto che gli Elfi hanno un incantesimo per contrastare quello pronunciato da Eragon (e prontamente glielo insegnano, naturalmente), e in secondo luogo, l'autore usa la bambina come uno sfiga-detector per Nasuada, giovane donna a capo dei Varden, che in pratica sfugge ad ogni pericolo o attentato portandosi appresso la piccola. La tensione subisce, in questo modo, un crollo verticale.

Alcune situazioni, poi, sono gestite in maniera da risultare deboli e poco credibili.
Prendiamo ad esempio le vicende di Roran. I Ra'zac, finalmente!, si accorgono che potrebbe essere un ostaggio prezioso, ma quando cercano di catturarlo si ritrovano contro l'intero villaggio di Carvahall. Al che, invece di radere al suolo tutto, oppure di catturare gli abitanti del villaggio e giustiziarne uno ogni ora finchè Roran non si fosse consegnato, pensano bene di accamparsi, insieme ad un manipolo di soldati, fuori dal villaggio e aspettare cortesemente che Roran si faccia vivo.
Anche quando i contadini si ribellano attaccando le guardie, a nessuno viene in mente di sterminarli e farla finita. No, i Ra'zac (che, ricordiamolo, possono uccidere con il solo alito) aspettano rinforzi. Sì, rinforzi per radere al suolo un villaggio di contandini male armati e non addestrati.
Alla fine, gli abitanti di Carvahall sterminano i soldati e fuggono, sperando di raggiungere i ribelli nei territori del Sud, e i Ra'zac portano via Katrina, l'amata di Roran, perchè sanno che lui, prima o poi, andrà a cercare di liberarla.
(Farlo subito pareva brutto, eh? Ma ve l'avevo detto che i Ra'zac hanno molti doni, ma non quello dell'intelligenza)

Se aggiungiamo a tutto ciò una rivelazione finale in stile Luke, io sono tua padre, possiamo avere un quadro completo della situazione.

Per quanto si notino dei piccoli passi avanti, continuo a credere che la storia complessiva del ciclo ne avrebbe guadagnato se fosse stata opportunamente tagliata e sintetizzata, e quindi il giudizio resta negativo.


venerdì 11 dicembre 2009

Eragon...

...di Christopher Paolini.

Eragon è il primo di quattro libri che compongono il Ciclo dell'Eredità, di genere fantasy classico (ma molto, molto classico) ed è stato scritto dall'autore quando aveva 15 anni, e successivamente sottoposto ad un lungo e intenso editing.
Cosa che appare evidente, perchè il libro è scritto in uno stile decente e corretto (anche se sospetto che qui e lì la traduzione abbia disseminato qualche errore, come quello riguardante la descrizione della città di Teirm, in cui, al calar della sera, non chiudono le porte o i cancelli di accesso alla città stessa, ma abbassano le saracinesche...come dal fruttivendolo, insomma).

Quello che invece non va nel libro è... tutto il resto.
Lo so, magari state pensando quello che mio marito mi ripete ogni giorno (no,sbagliato, non è "eddai svegliati che è ora...") .  Lui sostiene che io sia diventata troppo pignola e puntigliosa coi libri, che sembra che li leggo solo per criticare e altre amenità del genere.
Può darsi che abbia ragione lui, chissà, ma da appassionata di fantasy, in tutta onestà non posso affermare che Eragon mi abbia emozionata o che mi abbia lasciato qualcosa, una volta terminata la lettura.
La trama già comincia a svanire dalla mia mente (infatti sto pigiando sui tasti molto, molto velocemente) e cercherò di riassumerla prima che sia andata completamente.

Eragon è un giovane contandino che abita nel piccolo villaggio di Carvahall, nella valle di Palancar. Sua madre lo ha abbandonato in fasce a casa di suo fratello, e da allora Eragon non ne ha più saputo nulla.
Un giorno, andando a caccia, il ragazzo trova una pietra blu, liscia e dura, e ben presto scopre che la pietra in realtà è un uovo di drago. Alla nascita, la creatura sceglie Eragon come suo Cavaliere, e questo metterà il ragazzo in pericolo, perchè il malvagio imperatore Galbatorix, Cavaliere dei Draghi rinnegato, che ha sterminati tutti gli altri draghi e cavalieri, vuole Eragon o al suo fianco, oppure morto.
Con l'aiuto di Brom, un cantastorie dall'oscuro passato, Eragon fugge da Carvahall per andare incontro al suo destino.

Le prime cento pagine sono tutto sommato interessanti, con un buon numero di eventi che tengono viva l'attenzione del lettore: il ritrovamento dell'uovo, la nascita del drago e i primi passi di Eragon nel conoscere la creatura, l'attacco degli scagnozzi dell'impero, la fuga e la scoperta della magia.
Dopo la fuga, il ritmo rallenta fino ad assestarsi ad un livello quasi soporifero.
Eragon e Brom fuggono da Carvahall per evitare i misteriosi agenti dell'Imperatore dai poteri soprannaturali, chiamati Ra'zac, che hanno distrutto la fattoria dove il ragazzo viveva e ucciso lo zio che l'aveva cresciuto come un figlio.
Paolini descrive questi Ra'zac come creature praticamente invincibili, dei sicari infallibili, tremendi, implacabili, con poteri sovrannaturali.
Questi Ra'zac avranno pure incredibili poteri magici, ma sicuramente non devono brillare per intelligenza, visto che non riescono ad acchiappare un contadinello ignorante e soprattutto ignaro dei motivi che lo hanno fatto diventare il nemico pubblico numero uno dell'Impero!
Infatti, invece che entrare zitti zitti nella fattoria dello zio, prenderlo in ostaggio e aspettare Eragon nascosti dietro la porta con un grosso randello in mano, uccidono l'uomo (vabbè, per essere precisi lo abbandonano morente), distruggono la fattoria in maniera plateale cosicchè Eragon sia ben conscio che è in pericolo e poi...lasciano Carvahall, senza sapere se effettivamente Eragon sia in in zona, oppure no. Decisamente sensato, vero?
Eragon, in seguito a questi eventi, vuole vendetta e perciò la sua fuga si trasforma nella rabbiosa ricerca dei Ra'zac.
Quindi ci troviamo nella curiosa situazione di Eragon (la preda, per così dire) che insegue i suoi cacciatori.
Ecco, non mi sono ancora spiegata perchè i Ra'zac non si siano semplicemente fermati ad aspettare Eragon, invece di rifugiarsi nella loro impenetrabile cittadella sul cucuzzolo di un'impervia montagna... ma il loro scopo non era prendere Eragon? Allora perchè fuggono? Perchè non catturano Roran, il cugino che Eragon ama come un fratello, per costringerlo ad arrendersi? (L'ultima la so! L'ultima la so! Non lo catturano perchè altrimenti Paolini non avrebbe potuto, in Eldest, il seguito di questo romanzo, annoiarci raccontarci delle vicende di Roran quando i Ra'zac si accorgono di lui...)

Lungo il cammino, Eragon impara qualcosa di più sui draghi. Grazie al forte legame con il suo drago, Saphira, Eragon acquisisce il potere di governare le energie del mondo e quindi pronunciare incantesimi.
Per fare ciò, deve imparare l'antica lingua, ovvero il linguaggio della razza che ha dato il nome a tutte le cose. Attraverso la conoscenza del vero nome di ogni oggetto o creatura, essi possono essere manipolati, cambiati e usati.
Ad esempio, conoscendo il vero nome del fuoco - brisingr - si può usare una fiamma per colpire i nemici, o semplicemente per accendere un falò.
Il viaggio di Eragon e Brom è di una noia mortale; qualche scaramuccia, un po' di informazioni su cosa attende Eragon ora che è Cavaliere e tanti, tanti, inutili minuziosi particolari.
Ci sono degli spunti interessanti, come ad esempio quando Brom rivela qualcosa di più a Eragon sulla storia del mondo di Alagaesia, oppure quando Brom risponde con mezze frasi alle incalzanti domande di Eragon sul passato di Brom stesso (anche se devo sottolineare che è facilmente intuibile chi sia Brom in realtà; l'unico che non ci arriva è Eragon, ma vabbè, forse sono io che ho letto troppi libri). Questi spunti andavano, a mio parere, approfonditi, perchè avrebbero arricchito il racconto del viaggio, invece si perdono in un mare di dettagli inutili e pesanti.
Spesso leggendo mi chiedevo: va be', ma a me cosa me ne importa?
La cosa buffa poi è questi dettagli sovrabbondanti tendono a dileguarsi non appena c'è una qualsivoglia scena d'azione, che viene solitamente liquidata in due righe.

Interessante poi la tendenza di Eragon a svenire ogni qualvolta il gioco si fa duro e quindi a perdersi (e farci perdere, che è peggio!) tutto il bello degli scontri e delle scene d'azione.
La prima volta, lo svenimento è a causa di un incantesimo scagliato con troppa foga che prosciuga le sue energie (e ci può anche stare); la seconda volta, è a causa di una ferita (e così veniamo privati del piacere di sapere come si conclude lo scontro); la terza volta (dopo appena 30 pagine dalla precedente) è perchè Eragon possa farsi convenientemente catturare senza dare noia all'autore, che altrimenti dovrebbe raccontarci come viene ridotto all'impotenza e imprigionato.
L'uso ripetitivo del medesimo espediente narrativo per più volte, per di più a a distanza di poche pagine, è indice, a parer mio, di poca fantasia e originalità, di sciatteria e di pigrizia narrativa.

E visto che si parla di originalità... questo mi porta a sottolineare un altro aspetto non proprio pregevole del romanzo: in Eragon c'è ben poco di originale.
La figura del povero orfano, che non sa chi siano i propri genitori, allevato come un contandino e che poi scopre di essere destinato a diventare un cavaliere jedi dei draghi, vi ricorda qualcosa? Qualcosa avvenuto tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana?
E l'imperatore cattivo, che ha sterminato tutti i Cavalieri e che ora cerca l'ultimo di loro?
E i ribelli nascosti sotto una montagna?

Gli Urgali e la loro versione migliorata, i Kull, (creature mostruose al servizio dell'Impero) sono uguali indentici agli orchi e gli Uruk di tolkeniana memoria.

I nani e la loro città di pietra sono la fotocopia di quelli del Signore degli Anelli.

Nemmeno la concezione della magia, per quanto suggestiva, è originale, ma presa a prestito dalla saga di Earthsea di Ursula K. LeGuinn.

Insomma, diciamo che Paolini deve molto, oltre che alle storie fantasy classiche (alla Terry Brooks, per intenderci, mi rifiuto di scomodare Tolkien per fare paragoni), anche alla saga di Guerre Stellari, ma non ha avuto il merito di saperle rielaborare o quanto meno fonderle in qualcosa di interessante.

Il protagonista, poi, non è minimamente approfondito. E' piatto, accetta qualunque cambiamento senza troppi perchè, scegliendo sempre la soluzione più politically correct che trova a portata di mano.
In più, qualunque cosa faccia, Eragon riesce a farla meglio di qualsiasi altro essere umano.
Ha un insospettato talento per la magia; diventa nel giro di due mesi uno schermidore provetto, e nello stesso lasso di tempo si trasforma da contandino analfabeta in letterato e conoscitore dell'antica lingua. Alla lunga la cosa diventa un tantino fastidosa; ancor peggio se si tiene presente che nonostante tutte le sue abilità, Eragon non si rivela mai decisivo.
La cosa potrebbe essere interessante, se Paolini avesse voluto mostrare l'immaturità del giovane Cavaliere, il suo bisogno di imparare, di crescere, addestrarsi, etc.. etc.
Ma in realtà il problema di Eragon non è l'inesperienza: il suo problema è che non sia ha mai l'impressione che Eragon possa influenzare e plasmare la storia con le sue scelte, le sue azioni e le sue decisioni.
Nel romanzo, in pratica Eragon cammina e ogni tanto inciampa in qualcosa: un uovo di drago, una pattuglia di Urgali, un'elfa prigioniera, un rifugio dei ribelli...
Le cose succedono perchè devono succedere, e basta. Come se Eragon camminasse e dietro di lui socrresse un fondale già dipinto.
Esempio: c'è bisogno che gli elfi incrocino la strada di Eragon? Perfetto, Eragon va a letto e casualmente sogna una giovane elfa in pericolo, Arya, e in seguito verrà catturato e rinchiuso nella stessa prigione dove è tenuta lei.
Quando viene catturato, Eragon è insieme a Murtagh, un misterioso spadaccino, e naturalmente, nonostante fossero circondati ed in evidente inferiorità numerica, Murtagh riesce a fuggire (ma siccome Eragon sviene non sapremo mai come), cosicchè Murtagh possa, in seguito, comodamente giungere a salvare Eragon. Una soluzione che mi ha fatto storcere il naso, anche perchè la fuga dalla prigine e lo scontro conseguente sono tra i pochi eventi degni di questo nome che accadono nel libro. Vederli risolti in maniera così scontata è stato deludente.
Non c'è mai pathos, non c'è tensione, non ci si domanda mai: è cosa accadrà adesso? Tanto, in un modo o nell'altro, la la soluzione pioverà dal cielo! Possibile che Eragon non riesca mai a cavarsela da solo?

Il finale non smentisce quanto detto fin qui.
Eragon ha raggiunto finalmente il rifugio dei ribelli, quando questi vengono attaccati dalle tuppe imperiali.
Accenno ssolo rapidamente al fatto che questi ribelli hanno il loro rifugio in una città dei nani scavata dentro una montagna (qualcuno ha detto Moria, per caso?) ma evidentemente i loro strateghi devono essere parenti dei Ra'zac, perchè questo segretissimo rifugio nascosto tra le montagne ha delle belle gallerie, comodamente percorribili da un intero esercito, che sbucano all'esterno e non sono in alcun modo sorvegliate, protette o bloccate.

Nel bel mezzo della battaglia, Eragon sta combattendo contro un avversario notevolmente più forte di lui, quando irrompono a salvarlo Saphira e Arya. Convenientemente, Saphira ricorda soltanto nelle ultime 20 pagine del romanzo di essere capace di sputare fuoco; così distrae l'avversario di Eragon e il ragazzo, che stava soccombendo, trova casualmente un'insospettabile riserva di energia dentro di lui e lancia un ultimo incantesimo, riesciendo così a  sconfiggere il nemico (e poi, detto tra noi, sviene!).

Sebbene ci sia ben poco che salverei in Eragon, sotto sotto ho la sensazione che questo sarebbe potuto essere un libro migliore, se solo Paolini si fosse accontentato si scrivere un solo romanzo, e non una trilogia (che poi è diventata una quadrilogia strada facendo). La sensazione è rafforzata anche dalla lettura di Eldest (il secondo libro del Ciclo dell'Eredità), che ho quasi finito.
Sarò comunque più precisa nella recensione di Eldest, che spero di postare a breve.

Spendiamo infine due parole anche sulla versione cinematografica di Eragon.
Sono quasi certa del fatto che i produttori e gli sceneggiatori la pensano esattamente come me: Eragon è una noia mortale.
Infatti, nel film hanno cambiato completamente lo svolgimento della trama, salvando solo le premesse e nulla di più. Così facendo, però, hanno tagliato via anche quel poco di interessante che, in sintesi, si poteva trovare in Eragon, riuscendo nel non facilissimo conmpito di rendere il film ancora più brutto del libro.
Il film è frammentario; alcune cose sono palesemente forzate (vedi Eragon che impara la magia origliando le parole che pronuncia Brom...almeno nel libro un pochetto - non troppo, ma almeno un po' - si era dovuto applicare...), altre completamente assurde (mi riferisco al fatto che Eragon, a un certo punto, lascia Brom indietro e a volo di drago corre a salvare un'elfa imprigionata; sul più bello, nel momento in cui Eragon è in pericolo appare dal nulla Brom a salvarlo - senza che ci sia dato di capire come possa essere arrivato in quel luogo più o meno insieme ad Eragon, che aveva volato fin lì, mentre lui aveva cavalcato).
Un capitolo a parte meriterebbe il doppiaggio. La voce di Saphira è di Ilaria D'Amico, presentatrice che tutto sommato stimo e mi è anche simpatica, ma la cui voce è completamente inadatta al compito, perchè piatta e monocorde (forse l'unica cosa in tema con il libro!).
Da evitare, come il romanzo.


venerdì 4 dicembre 2009

Il mondo di Rhett...

...di Daniel Mc Caig.

Sono stata indecisa fino all'ultimo se scrivere una recensione oppure aprire un dibattito sul tema: perchè insisto nel farmi del male in questa maniera?
Vabbè, vada per la recensione, e per mostrare che sono senza pregiudizio alcuno sul libro in questione, aprirò con qualcosa di positivo.
Infatti, la buona notizia è che Il mondo di Rhett non sfiora nemmeno da lontano le inarrivabili vette di approssimazione, superficialità, banalità e incoerenza di Rossella della Ripley (la cui recensione potete trovare qui )
Non solo, ma a giudicare da come vanno le cose nel romanzo, McCaig fa addirittura finta che Rossella non sia mai esisto (che è precisamente la stessa cosa che faccio io, quindi non posso che essergliene grata).
La cattiva notizia è che molto probabilmente Daniel McCaig non ha mai letto Via col Vento in vita sua.
Capisco e comprendo che l'autore abbia diritto a un minimo di discrezionalità, anche quando scrive il seguito di un libro così famoso, ma qui le licenze che McCaig si è preso sono tali e di tale entità da far pensare che Il mondo di Rhett abbia, di Via col Vento, solo i nomi e le ambientazioni, e niente altro.

Volete degli esempi?
Tanto per iniziare, vi ricordate la ragazza del calessino, quella che Rhett rifiutò di sposare?
L'episodio fece nascere in Rossella il primo sentimento di ammirazione nei confronti di Rhett, perchè, Rossella, "in cuor suo, provava un senso di istintivo rispetto per quell'uomo che aveva rifiutato di sposare una sciocchina". Qui l'episodio è stravolto.
Rhett è sì accusato a causa di una ragazza, ma la giovane è incinta ed è la figlia del sorvegliante della sua famiglia. E indovinate di chi si tratta?
Di Bella Watling, la quale non ha ancora intrapreso la carriera per cui l'abbiamo conosciuta in Via col Vento.
Quel che rende ancora più fastidioso l'episodio poi, è una sottile incoerenza che lo permea: Rhett protesta la sua innocenza, e, benchè non abbia mai frequentato Bella, non viene creduto. Eppure egli è circondato almeno da un altro paio di amici non proprio con la testa sulle spalle, ma a nessuno viene in mente si sospettare di loro.
Perchè?
Perchè sì.

In VcV, quando Rhett viene invitato da Frank Kennedy ad accompagnarlo alla merenda alle Dodici Quercie, Kennedy lo fa con riluttanza, sapendo che sarebbe troppo scortese non estendere l'invito a Rhett, uomo che disprezza profondamente; eppure qui troviamo Kennedy che premurosamente chiede a Rhett di andare con lui, temendo che possa rifiutarsi perchè un frivolo divertimento di campagna non è adatto ad un uomo di mondo come lui, ed esultante quando lui accetta.
La scena in questione viene resa ancora più indigesta da un continuo cambio di punto di vista, che saltella dalla testa di Rhett a quella di Kennedy senza una ragione apparente.

E Rhett, il cinico, befferdo Rhett, di fronte allo spettacolo della gioventù sudista che si prepara alla guerra durante la festa è così profondamente disperato che "si sarebbe messo a piangere".

Ancora, Melania viene sepolta alle Dodici Querce. Ashley, dopo la sua morte, va a vivere lì per starle vicino. Peccato che la tenuta è stata sequestrata in Via col Vento dal governo yankee, come tutte le tenute che non potevano pagare le tasse.

Ad un certo punto, l'autore riesce perfino a sbagliare il nome di uno dei fratelli Tarleton, chiamandolo Tom anzichè Tony.

Il vero problema è, però, che anche a voler dimenticare per un istante il paragone fra il capolavoro originale e Il mondo di Rhett, non si può comunque giudicare il secondo un buon romanzo.
Infatti, se da un lato mi hanno infastidito le continue incongruenze tra la trama di Il mondo di Rhett e quella di Via col Vento, dall'altro non ho potuto fare a meno di notare che la trama è spezzettata, manca di organicità,  ed è a tratti molto noiosa. Si salta di continuo alle vicende ora di uno, ora di un altro parente/amico/conoscente di Rhett; la psicologia dei personaggi è approssimativa, l'ambientazione storica non sempre coerente e il finale è un capolavoro di  frettolosa approssimazione.

I personaggi principali ne escono quasi massacrati e stravolti nella loro impostazione psicologica.
E anche quelli secondari, se è per questo; vedere l'amorevole madre di Rhett parlare tranquillamente della bellezza del prato dove si svolge un duello in cui suo figlio rischia la vita è stato sinceramente scioccante, così come vedere due distinte signore del Sud parlare di gravidanze indesiderate e di figli illegittimi tra di loro con estrema naturalezza...e per di più davanti a due bambine di 7 anni.
E per carità di patria taccio su Belle - una prostituta - invitata ai festeggiamenti natalizi della famiglia Butler.
A parer mio, non ha alcun senso prendere dei personaggi creati da alcun altro e distorcere loro e le loro vicende per piegarli alle proprie esigenze narrative, a maggior ragione se queste distorsioni li snaturano e li fanno uscire dal proprio contesto storico e sociale; ma è proprio quello che fa McCaig.

Innanzitutto prendiamo Rhett.
Sarebbe stato interessante leggere di come è diventato come lo conosciamo. Ma in realtà ci troviamo già di fronte al fatto compiuto.
In una conversazione tra padre e figlio, che si svolge durante un flashback che racconta di Rhett bambino, il padre lo definisce un rinnegato. Ma perchè? Perchè il ragazzino è così?
Perchè sì. O meglio, per citare le parole di Rhett, "perchè sono un ribelle".
Ah, ecco. Rhett è un ribelle perchè è un ribelle. Adesso sì che ne sappiamo molto di più su di lui!
Ci sono accenni alla rigidità del padre, che Rhett mal sopporta, ma il tutto è molto vago, e più raccontato a parole che mostrato con le azioni del personaggio.
Nel prosieguo poi è anche peggio.
Vediamo Rhett che quasi non riesce a trattenere le lacrime di fronte ai giovani che alle Dodici Quercie inneggiano alla guerra. E questa storia delle lacrime trattenute a stento si ripete nel corso del romanzo. Insomma, voi ce lo vedete Rhett sempre sul punto di piangere? Io proprio no.
Il romanzo sarebbe stato una buona occasione anche per svelarci cosa accadde davvero a Charleston nell'infanzia e nella giovinezza di Rhett, perchè fu espulso da West Point e come sopravisse dopo la messa al bando della famiglia e della buona società; invece quando Rhett lascia Charleston, dobbiamo accontentarci di accenni vaghi e indistinti alle vicende che lo riguardano. Eppure sarebbero stato interessante leggere delle avventure di Rhett giocatore, contrabbandiere e fuorilegge. Soprattutto sarebbe stato un terreno meno pericoloso su cui avventurarsi, ma McCaig sceglie deliberatamente di ignorarlo.
La storia infatti non "segue" mai Rhett nelle avventure da lui vissute, e quello che ci viene raccontato mentre è via sono vicende tutt'altro che entusiasmanti o appassionanti, che riguardano personaggi tutto sommato secondari, di cui a me importava poco o niente, a parte forse la sorella di Rhett, Rosemary, la cui storia però mal si raccorda -tanto per cambiare - con quel poco che di lei sappiamo da VcV.

Quando Rhett non è in scena, ampi capitoli vengono dedicati a  Belle Watling, la quale, caduta in digrazia per essere rimasta incinta, vive di elemosina a New Orleans.
Lì Rhett la incontra dopo anni e decide di aiutarla...e come? Ma naturalmente avviandola sulla strada della prostituzione. Quando si dice avere un amico...
Bella è un personaggio insulso in questo romanzo: fa la maglia mentre aspetta il ritorno di Rhett, si mette in testa di diventare rispettabile e si fa aiutare da Melania che la porta in giro tra sarti e parrucchieri per migliorare la sua immagine.
Ora, tralasciando per un momento il fatto che in VcV non si accenna mai al desiderio di Belle di smettere con la sua attività, non ci sarebbe nulla di male nell'idea che Belle, innamorata di Rhett, tenti di cambiare vita; ma è logicamente possibile che la prostituta più famosa di Atlanta possa farlo semplicemente cambiando vestito e pettinatura? Restando nella medesima città dove la conoscono tutti (anche le signore, che morirebbero piuttosto che ammettere di sapere chi è lei, ma la conoscono benissimo)?

La furia revisionista di McCaig non risparmia neanche Melania, la quale, in una lettera a Rosemary, non solo parla tranquillamente di sesso, ma confessa di sapere che Ashely ama, ricambiato, Rossella, e che soltanto la sua vigilanza costante ha evitato il consumarsi del tradimento.
Il che distrugge completamente Melania come la Mitchell l'ha creata. Non stupida - come cinicamente afferma Rossella ad un certo punto - ma buona - come le fa notare Rhett - perchè incapace di concepire il male in coloro che ama.
Povera Melania. Almeno muore prima di vedere Ashely che si trasforma in un giardiniere, (sì, dopo la morte di Melania Ashely va a curare le rose alle Dodici Quercie...) e che parcheggia il figlio a Tara, disinteressandosi di lui.

Ma la cosa peggiore, il "peccato" che non potrò mai perdonare a McCaig, è il finale.
Innanzitutto, è un finale sciocco. SPOILER! Selezionare col mouse per leggere.
Il padre di Belle Watling vuole vendicarsi di Rhett, che continua a ritenere responsabile della gravidanza della figlia (nonostante, prima di morire, il vero padre del figlio di Belle lo abbia riconosciuto). Una volta morta la madre di Rhett, che Watling stimava, l'uomo sente di aver campo libero contro Rhett; ma anzichè agire subito, decide di aspettare che Rhett lasci il paese in seguito alla rottura definitiva con Rossella. Allora imbastisce, con l'aiuto di Archie, l'ex galeotto che Melania ospitava, un complicato e lungo piano di attentati - furti, incendi, intimidazioni - a Tara sperando che Rossella richiami Rhett in patria.  Cosa che puntualmente avviene.
E allora, invece che piantare una pallottola in testa a Rhett,Watling incendia Tara e poi tenta di piantare una pallottola in testa a Rhett. Ma nella concitazione del momento, uccide Belle, che era ospite a Tara - vi prego, non fate domande - e nel frattempo nessuno pensa di spegnere l'incendio. Tara viene distrutta e Rossella liquida la cosa con un'alzata di spalle (forse, dice,  ricostruirò Tara, forse no, ecco il peccato che non potrò mai perdonare) perchè Rhett la ama.
A proposito, ma perchè Rhett ha cambiato idea e ha scoperto, a distanza di pochi mesi dalla traumatica separazione, di amare ancora Rossella?
Perchè sì. E non fate domande.
FINE SPOILER.
Ed oltretutto, è un finale incoerente e frettoloso, un infantile contentino e non la chiusura di un solido arco narrativo, che risponde alla domanda che a tutti noi preme (ovvero: Rhett e Rossella torneranno insieme?), ma senza una adeguata e solida motivazione, e pertanto, non può che lasciare con l'amaro in bocca.